Confesso che non mi
aspettavo moltissimo da questo trail. Guardando le fotografie,
immaginavo che si sarebbe corso su larghe piste minerarie fra colline
cespugliose costellate da rovine, non di monumenti antichi ma di
villaggi e stabilimenti industriali. La realtà non era molto diversa
da come la immaginavo ma mi ha sorpreso piacevolmente; è un
territorio che ha un suo fascino particolare, con la sua aria
post-apocalittica, con una storia unica e un cuore pulsante in
evidente sintonia con quello di chi ha ideato il tracciato; è
un'atmosfera che non si può fotografare, bisogna respirarla; io l'ho
respirata lungo i 36 km del percorso ed essere lì a correrci dentro
è stato emozionante.
Io, come ormai di consueto,
curo la retroguardia, difendendo il drappello di disperati in fuga da
domeniche sul divano. È dura; per sfuggire alle comodità bisogna
soffrire, lo sappiamo, ma in ballo c'è la libertà. Con me, il
medico di gara, sempre presente e sempre in giro a divertirsi ad
esplorare il territorio con la sua moto. Anch'io mi prendo qualche libertà: nei
brevi tratti in cui il percorso si fa impegnativo, mi lancio in brevi
fughe in avanti, per svegliare l'adrenalina, fino a restare senza
fiato in salita o a sfiorare il punto di caduta in discesa; anch'io
ho i miei divani da sfuggire.
Quando il divano si
avvicina, gli atleti evocano un percorso liscio e privo di asperità.
Per fortuna i tracciatori ci hanno offerto un percorso vario ed
impegnativo. Salite si alternano a discese. Strade minerarie a fasce
taglia-fuoco e rari single track. Più si fatica, più i panorami si
allargano e il vento soffia potente ma più che la natura, colpisce
il fascino decadente di un territorio sfruttato e abbandonato, dove
il tempo è passato veloce e si sta fermando in un'era
post-industriale. Villaggi popolati da fantasmi, maestose rovine
industriali, gallerie dove correvano veloci treni e ora passiamo noi,
a piedi, con passo incerto, scappando dai divani. Qui non ci
troveranno mai! Priamo, Tore, Alessandra, Wilma e Gianfranco,
avanzano decisi. Andrea, invece, stufo di soffrire, si era arreso
all'idea di proseguire sul sedile imbottito di un'autovettura. Lo
abbiamo trascinato via, appena in tempo, dalla sedia che lo stava per
inghiottire.
La nostra fuga entra in
perfetta sintonia con il territorio. Qui l'era del divano è passata,
si respira aria del “dopo”, di quello che ci aspetterà dopo il
fallimento dello sviluppo forzato che sta devastando il pianeta. Si
caccia, si corre, si guardano con occhio meravigliato i giganteschi
stabilimenti crollanti mentre Barbara D'Urso continua a sorridere
dentro televisori spenti.
Al prossimo anno!
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