Fra gli amici che ho invitato
all'allenamento collettivo di corsa in montagna di domenica scorsa,
almeno in 4 mi hanno detto che non erano sicuri di venire perché
temevano di restare ultimi. Ho detto loro di mettersi d'accordo, che
avevo un solo posto come ultimo. Poi ho riflettuto e ho fiutato
l'affare.
Quando partecipiamo ad una gara, un
allenamento collettivo o anche ad una semplice escursione in un campo
in cui non ci sentiamo sicuri, un incubo molto frequente è quello di
restare ultimi staccati da tutti. A me capita nella frazione di nuoto
del triathlon: quando prendo calci in faccia, sono tutto contento di
non essere solo. Come pecore, siamo tranquilli solo sapendo che c'è
qualcuno che resta dietro di noi a sfamare il lupo. Gli organizzatori
dovrebbero allora ingaggiare un atleta per fare il vagone di coda. È
un ruolo importante, rassicurante. Invece di pagare cachet a campioni
che sverniciano tutti, li paghino a qualcuno che si lascia superare
con una battuta simpatica e autoironica. Al contrario delle lepri,
che, una volta svolto il loro ruolo, si devono ritirare, ai vagoni di
coda è assolutamente vietato il ritiro. Devono mantenere quella
posizione fino al traguardo, ci devono coprire le spalle come un
pastrano. Se si ritirassero, proprio come un gilet lavato a 90
gradi, finirebbero per lasciarci con le spalle scoperte. Devono
quindi avere buone doti di resistenza al lavaggio: devono
avere la stoffa per quel ruolo.
Se, per l'allenamento di domenica,
avessi potuto dire: “non vi preoccupate, non sarete mai ultimi: ho
ingaggiato un vagone di coda professionale, in tessuto
irrestringibile” sicuramente sarebbe venuto qualcuno di più.
Ne conosco di buoni, colti,
simpaticissimi e lenti quanto basta. Se vi dovesse interessare,
potete contattare il loro manager velleitario cliccando su: “Gli
ultimi saranno i primi” su: “vagoni di coda punto com”.
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