Aspettavo con ansia il tour de France
per farmi le mie consuete dormite pomeridiane sul divano. Luglio è
il mese in cui il tepore stagionale si unisce al girare delle ruote
per creare una situazione di relax perfetto che mi avrebbe aiutato a
ricaricare le batterie e invece, porca miseria, quest'anno non riesco
a dormire bene. Certo qualche chilometrino fra meno centoventi e meno
cento me lo sono perso e il commento di Martinello è stato talvolta
accompagnato da un ronfo in sottofondo ma non è stato quel bel
riposo che speravo.
A cos'è dovuta quest'insonnia?
Anche quest'anno, ci sono tutti gli
ingredienti che l'anno scorso bastavano per una buona dormita: le lunghe fughe riprese a 10 km
dalla fine; il sospetto, che mi fa preferire una prestazione mediocre
ad una “stupefacente”; la lotta per il terzo o perfino per il
decimo posto più agguerrita di quella per il primo. L'anno scorso,
mi addormentavo sdraiato sul divano, sperando di svegliarmi a 20 km
dalla fine per aver il tempo di preparare un caffè e riuscire a
vedere i 10 secondi emozionanti dello sprint. Qualche volta, al
risveglio, sentivo invece le interviste al vincitore di tappa.
Quest'anno, mi metto giù, mi rigiro
sul divano, preparo una camomilla … ma niente, finisco per vedere,
con gli occhi sbarrati, anche tre ore di ruote che girano.
Forse è troppo emozionante il gioco
dei birilli. Per essere sicuri di non cadere bisogna stare davanti;
per stare davanti bisogna lottare che davanti non c'è posto per
tutti; per lottare si rischia di cadere. Si cade per non cadere
insomma e questo è drammaticamente interessante. Le riprese dalle
telecamere montate sulle bici sono davvero impressionanti: ricordano
la scena iniziale di salvate il soldato Ryan ma è roba vera.
Forse invece è perché in testa c'è
quell'italiano tranquillo, con quel sorriso sincero che quasi vien
voglia di credergli.
Ridatemi Froome che voglio dormire in
pace!
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