Lei abbassa la serranda e mi si
appoggia addosso con delicatezza. Io resto immobile, come
paralizzato, per paura di disturbarla e rompere quel dolcissimo
incantesimo; faccio finta di dormire e restiamo così, io sdraiato
sul fianco e lei sopra di me per un tempo che sembra non finire mai.
Non ci sono parole, non servono. Il silenzio è rotto solo ogni tanto
dal suono del mio cuore che palpita ad alta voce. Dopo quasi 20
minuti di incanto, giro la testa a guardarla. I suoi begli occhi neri
sono ben aperti e rivolti altrove, verso il mio cuore o meglio verso
l'immagine di esso che lei si è fatta.
Finalmente mi parla. La sua giovane
voce mi risveglia dal sogno in cui mi ero rifugiato.
“Le confermo la diagnosi del dr.
Pisano, l'insufficienza è moderata.”
Alza la serranda e, dalla finestra del
quarto piano dell'ospedale Marino, penetra la vista delle saline.
Parliamo. Le mie questioni di cuore le sembrano un po' caotiche, non
ne capisce il nesso. “Perché ha rifatto l'ecocardio invece di …”
Le spiego il cammino intricato, l'ultratrail del destino, che mi ha
portato da lei. Parliamo e parliamo.
“C'è chi, nella sua situazione, vive
tranquillamente e chi invece prova affanno a fare le scale …” mi
scappa un sorriso. Penso a quando, alla BVG, dopo l'equivalente di
20000 scalini mi sentivo effettivamente un po' stanco, ma erano in
200 più stanchi di me e solo 28 davanti. No, non provo affanno, non
almeno quello che obbliga a fermarsi e che le scale non siano quelle
di un grattacielo di mille piani. Penso questo, ma non dico niente.
Resto lì col mio sorriso silenzioso.
Mi consiglia di trovare un cardiologo a
cui affidarmi … o, perché no, una cardiologa. Non c'è niente di
meglio per le questioni di cuore.
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