Anche oggi, come ieri, decido di uscire
sul presto a correre sulla neve per un paio d'ore. Alle 8 sono già
fuori, così alle 10 sarò di ritorno, pronto per l'escursione
familiare in sci di fondo.
Obiettivo il rifugio “tre scarperi”,
nella valle campo di dentro. Ieri, dal crinale del monte Elmo vedevo
le cime dolomitiche che sovrastano il rifugio e avevo deciso di
andarle a vedere da più vicino.
Si corre bene, prima sulla neve battuta
a lato della pista da fondo, poi, entrato nella valle campo di dentro
prima sul sentiero poi sulla strada ricoperta di neve. Qualche breve
tratto è ghiacciato e fa parte del divertimento continuare a correre
provando a non cadere.
Sono vestito come ieri ma qui è più
freddo: sul fondo valle di mattina non arriva il sole. In più oggi
soffia un bel vento freddo ma ho pensato a tutto. Indosso la maglia
termica che mi copre braccia e torace. Ai piedi ho le ottime speed
cross che non fanno entrare la neve. Le mani sono coperte da guantini
appositi, gli occhi e parte del viso da occhiali da sole. Sento però,
fra le gambe, una sensazione di bruciore e mi rendo conto che un
unico punto del corpo è rimasto esposto alle intemperie: mi si sta
congelando il ventunesimo dito! Indosso un pantaloncino corto senza
mutande e la giacca antivento arriva fino al basso ventre ma non
copre la zona genitale. In Alto Adige a 1500 metri di quota in un
mattino invernale con un vento a -10 gradi, l'ho coperto solo con un
sottilissimo strato di lycra! Per paura delle conseguenze di un
eventuale assideramento sulle sue funzionalità organiche, lo copro
con una mano e mi accorgo che è praticamente annichilito. Tento un
massaggino per ripristinare la circolazione ma desisto subito. Ci
vorrebbe ben altro. Lo so perché non è la prima volta che tenta la
fuga e si ferma solo un attimo prima di sparire del tutto. È
successo altre volte, nel finale di ultramaratone. Anche allora avevo
tentato inutilmente di ripristinare un aspetto decente per essere
presentabile entrando in doccia. Per fortuna non succede solo a me e,
da questo punto di vista, le docce maschili post ultramaratona sono
molto diverse da quelle dei centometristi, con tutte le dita ancora
protese in avanti verso il fotofinish.
Per un attimo mi distraggo guardando la
parete imponente della "punta dei tre scarperi”, sempre più vicina, poi
penso alle dita dei piedi di Messner, amputate in seguito a
congelamento. Ricordo anche racconti di alpinisti che hanno perso
qualche dito della mano; in realtà non ho mai sentito racconti di
amputazioni del ventunesimo dito per cause analoghe ma forse non se
ne parla solo perché è argomento scabroso … Però, anche con la
mano destra fissa a coppetta a fare da mutanda, si corre proprio
bene. Finalmente si apre il fondo valle in una magnifica piana
circondata da pareti dolomitiche ed ecco il rifugio.
Sarebbe
bellissimo allungare, facendo il giro della piana; non fosse per quel
piccolo particolare starei benissimo ma non ho tempo e voglio salvare
l'intimità. Mi giro e inizio la goduriosa discesa balzando leggero
sulla stradina innevata. Il vento ora è alle spalle e piano piano
torna la sensibilità. È una sensazione dolorosa ma molto
tranquillizzante.
Alla fine, ho salvato tutto; senza
l'inesperienza di un sardo sulle dolomiti, sarebbe stato proprio
magnifico. La prossima volta indosserò mutande di pelliccia.
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