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Spazi immensi. Tutte le foto sono del grande Luca Maini. Grazie. |
Spazi immensi; per tre quarti la vista
si estende fino a perdersi nella distanza fermandosi solo per
l'accumulo di strati d'aria spessi decine di chilometri. Solo verso
nord l'orizzonte si avvicina salendo su in cima al monte. Non ci sono
alberi né siepi a escludere lo sguardo, solo un piccolo cespuglio.
Al di là, i panorami riprendono infiniti, il profumo di timo
sovrasta ogni odore mentre io sto lì accoccolato … . Dopo questa
maestosa cagata, mi avvio alla partenza, cauto e dolente. Vedo il
nostro Gerva che parte in fuga inseguito a qualche decina di metri
dai favoriti. Poi via via si sgranano altri gruppetti e, oltre la
ventesima posizione, impaccato col cellophane, ci sono io. La
pellicola trasparente, per effetto serra, riscalda il polpaccio,
attenuando velocemente il dolore.
Non riesco a trattenermi e appena il
dolore me lo permette allungo il passo fino a raggiungere la nuova
soglia del dolore. È il dolorimetro del polpaccio che decide
l'andatura. Sono condizionato da questo e appena il dolore si attenua
mi lancio giù per la discesa recuperando posizioni. Raggiungo
Silvia, partita prudente come al solito, scambio due parole con lei e
riparto; poi raggiungo e stacco il gruppetto successivo con Teo che
sembra non reagire (mai fidarsi); continuo veloce e, alla fine della
prima discesa raggiungo il mitico Marco Olmo seguito da un paio di
Giuseppe. Comincia la salita e con mia sorpresa il dolore si attenua
ulteriormente. Riesco a spingere bene e a staccare i miei nuovi
compagni. Mi sembra di volare, mi sento un miracolato e alla fine
dello strappo più duro, come Lazzaro si libera del sudario, o la
mummia del film dalle fasce, decido di togliere il cellophane. Non so
se sia stato per quest'operazione o per il cambio di pendenza, ma
subito il dolorimetro mi ha imposto di rallentare. Ora seguo a fatica
Marco Olmo e Giuseppe Taras e insieme raggiungiamo e superiamo la
fortissima K (Konstanze), prima fra le donne, e Alessandro. Davanti a
noi, imprendibili, sono solo in 4. Anzi 5, in quanto Marco Olmo,
apparentemente senza sforzo, si è liberato della nostra compagnia
riconquistando la sua cara solitudine di re del deserto. Appena
inizia la discesa successiva ho già perso tutta la freschezza e mi
staccano anche i due toscani Giuseppe e Alessandro. Sento un
sassolino che da dietro si insinua nella scarpa. Ad ogni passo scende
un pochino fino ad assestarsi sotto la parte posteriore del tallone.
Non dà troppo fastidio e decido di portarlo con me. Fa compagnia.
Sono ottavo e voglio provare a restare nella top ten. Il dolore al
polpaccio è ora accompagnato da un indolenzimento muscolare dei
quadricipiti e da una sensazione di cottura dovuta soprattutto
all'irraggiamento diretto del sole sulla pelle. La strada è
piacevole, l'ambiente collinare è arricchito da alberi maestosi e da
sorgenti da tre stelle Michelin, ricche di acqua freschissima, che
valgono una deviazione e forse anche tutto il viaggio ma,
nonostante questo, scorre lentissima.
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Sorgente a tre stelle |
Quando K mi supera mi informa
che siamo al quattordicesimo chilometro. “Solo?” Sono già
stanco, ne mancano ancora il doppio e posso farmi superare da un
altro soltanto: sarà dura! Un lungo tratto in asfalto mette a dura
prova la mia forza di volontà. Per fortuna c'è lui, il sassolino,
che a seconda della pendenza, si sistema più o meno avanti. “Ma
dove vuoi andare?” Gli dico. “Se fai il bravo ti porto in cima al
Gennargentu e tu, insignificante sassolino, diventerai la cima più
alta della Sardegna”. Sempre più solo; davanti K è sempre più
lontana e anche dietro sono molto distanti. Cerco la compagnia
dell'Armando ma mi esce a pezzi e col ritmo sbagliato. Resto solo col
mio sassolino. Dopo un'altra eternità arrivo al ristoro del
ventesimo km. L'asfalto è finito e ora si corre, sempre in salita,
su una carrozzabile sterrata. La montagna incombe sempre più vicina
e molto più alta di me. Non c'è scampo. Dovremo passare per il
punto più alto di tutta la Sardegna e quindi almeno fin lassù. K
non si allontana più e anche da dietro scorgo qualcuno che si
avvicina. Per fortuna è solo; uno solo va bene, se anche mi supera
sarò decimo. Dal passo, riconosco Teo. Mi fa piacere che sia lui
anche se so che un suo eventuale sorpasso mi costerà almeno una
serata di allegre prese in giro. Basta stupido sassolino, ora si fa
la gara. Mi fermo per toglierlo dalla scarpa lasciandolo in quel
nuovo ambiente e riparto prima che Teo mi raggiunga. “Non ti
aspetto” gli dico “mi devi raggiungere tu”. “Vai, vai
tranquillo” mi dice “sono morto” ma in breve mi raggiunge (mai
fidarsi di Teo). Siamo al trentesimo e la strada lascia posto ad una
mulattiera. È il pezzo più duro e, a parte brevi tratti, si
cammina. Siamo molto stanchi entrambi e ci alterniamo in testa. K è
sempre più vicina mentre dietro non si vede nessuno.
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Verso arcu Gennargentu |
La salita più
ripida finisce e comincia il pezzo più bello di tutto il trail. Un
traverso in lieve salita ci porta al passo di “arcu Gennargentu”
dove si apre la vista verso la costa orientale e un fortissimo vento
di maestrale ci rinfresca la pelle; il sentiero è sempre più bello,
lastricato come una strada romana in mezzo alla pietraia. Mi fermo a
bere ad un'altra magnifica e copiosa sorgente e Teo passa. Si
sfiorano grosse chiazze di neve e poi ci si inerpica su verso la
croce. Sarà il paesaggio aereo, l'aria frizzante, ma mi sento di
nuovo volare. Aumento facilmente il ritmo, supero e stacco Teo e poco
prima della croce raggiungo e supero la bravissima K, molto stanca ma
ancora veloce. La sensazione di volare è giustificata: sono arrivato
sulla cima più alta della Sardegna! In cima l'accoglienza è festosa
e la vista indescrivibile.
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Il sentiero di cresta |
Dopo un breve tratto di cresta, tecnico e
spettacolare inizia la vera discesa; sono ancora euforico e mi butto
giù tagliando anche qualche curva. Oggi ho sostituito le scarpe da
trail squarciate con delle scarpe da strada ancora più vecchie, con
la suola liscia e l'ammortizzatore scarico; anche le gambe sono
vecchie e irrigidite dalla fatica. Ho finito di volare; mi sentivo
aquila ma ero pollo e sono già di nuovo a razzolare a terra. Dietro
K si avvicina e anche Teo non è lontano: sono loro ora che volano.
Alla fine della discesa ripida il sentiero sbuca in una graziosa
piccola valle percorsa da un torrente fiancheggiato da una lunga
linea di ontani. Subito
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La valle degli ontani |
all'imbocco della valle c'è una sorgente e
mi fermo come al solito a fare il pieno di fresco. K non si ferma e
passa. Avrei voluto accompagnarla al traguardo ma scende meglio di me
e non riesco a seguirla. La pendenza diminuisce e i dolori aumentano.
Da dietro mi raggiunge anche Teo. Mi sposto per farlo passare mentre
lui sta già passando da quella parte. Ci scontriamo senza danni, ma
è l'occasione per l'ennesima presa in giro “Assassino! Mi vuoi
buttare giù?” Ultimi 5 chilometri, facili, in leggera discesa ma
lunghi. Vedo Teo che raggiunge K, la stacca ma poi l'aspetta. Sono
sempre più lontani. Io penso solo a limitare i danni cercando di
tenere un ritmo decente ma il meno traumatico possibile. Domani si
dovrà correre ancora e sarà dura. Vedo due trailer che corrono in senso opposto urlando festosamente. Solo quando sono vicinissimi riconosco Checco e Gianni che riescono a strapparmi un sorriso. Ora però sento anche un dolorino
addominale che, ad ogni passo, mi punge il bassoventre. Forse dovrei
fermarmi ma finalmente vedo le bandiere del traguardo vicinissime: è
finita!
Finisco i 42 chilometri in decima
posizione e in 4h30. Ho risalito la classifica generale fino
all'undicesima posizione, a 10 minuti da Teo che è ottavo e a 3
minuti dal decimo. Sono stanchissimo ma, date le premesse, molto
soddisfatto. Ringrazio Nicola, il suo massacro è servito. Mentre sta massaggiando Teo, gli chiedo se, gentilmente, può schiacciare un po' più forte, che mi ha battuto e mi piace vederlo soffrire. Poi,
quando arriva, ringrazio anche Flavio. E grazie anche a voi, se siete riusciti ad
arrivare fin qua.
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