Scarpe rotte e pur bisogna andar …
Sta per partire la prima tappa. Mentre
calzo la scarpa destra, noto uno squarcio laterale di 3 cm da cui
spunta la calza. A proposito, devo ricordarmi di non sudare troppo
che quelle calze le dovrò riciclare: ne ho solo 2 paia per le 3
tappe, le sole senza buchi che ero riuscito a trovare nei miei
cassetti. Dentro le calze, le unghie dei piedi stanno crescendo a
ostrica con strati di spessore differente che un attento esame paleo-istologico potrebbe correlare con l'epoca delle varie cadute, ma
non ho avuto tempo per la pedicure. I pantaloncini da triathlon
reggono, nonostante il fondello sia ormai ridotto a cartavetro.
Quelli di ricambio hanno un buco e dovrò usarli con le mutande per
non esibire parti intime. In confronto agli altri sembro uno
straccione ma l'essenza del trail è un'altra, è il movimento del corpo
nella natura: “e pur bisogna andar” … veloce, possibilmente,
così la foto condivisa nei social network viene mossa e non si
notano i particolari.
Gambe rotte …
Alla partenza gli atleti forti si
controllano. C'è la possibilità di annusare l'aria di testa e
sentire il profumo della gloria. Giuseppe ne approfitta. Poi io. Vedo
la deviazione a sinistra mentre il gruppo sta proseguendo dritto: “è
di qua” urlo, con un secondo di ritardo, tanto basta per ritrovarmi
in testa; le gambe girano bene, leggere, lungo la discesa nel bosco
ma il divertimento dura poco. Dopo neanche un chilometro, un dolore
improvviso mi morde il polpaccio sinistro. "Se hai un coccodrillo attaccato al polpaccio, non ti preoccupare, prima o poi si stacca da solo". Faccio finta di niente per
qualche centinaio di metri sperando che si sciolga ma lui continua,
sempre uguale. Rallento. Mi autodiagnostico una contrattura. Non so
bene cosa fare poi decido di automedicarmi come Rambo: mi fascio il
polpaccio con la benda elastica che ho nello zainetto, la taglio con
i denti, e provo a ripartire. Il dolore rimane e mi impedisce di
spingere con la gamba sinistra. Provo, fra i tanti passi che ho
imparato, se ce ne sia uno che non mi faccia male. Mi riesce bene
solo il camminato con appoggio laterale esterno, non un passo da
trailer, purtroppo, ma da clown.
Mi ritrovo quasi in fondo al gruppo con
una gamba sola, un passo da pagliaccio, al primo dei 100 chilometri di una
gara che doveva essere il primo vero obiettivo stagionale. Never stop
smiling, dice qualcuno. Forse sembrava un sorriso, stavo invece
stringendo i denti per provare ad arrivare al traguardo. “Sto
risparmiando muscoli e cuore” penso; “se passa, almeno i prossimi
giorni mi diverto”. Con lo scorrere dei chilometri comincio ad
abituarmi alla sofferenza e riesco a spingere un po' di più.
Recupero posizioni, una bella coppia di svizzeri poi Antonio, Moreno,
Flavio, Luca … molti, comprendendo la mia sofferenza, mi
incoraggiano e questa spinta umana, insieme all'aria luminosa e alla
vegetazione avvolgente, mi aiuta a continuare. Ricordo anche la
sofferenza dell'anno scorso sugli stessi sentieri, più dura, più
diffusa. Se ce l'ho fatta allora, oggi non ho scuse. E infatti
resisto, avanzando, lento e pesante, fino all'arrivo.
Finisco diciottesimo, accolto
caldamente dagli atleti arrivati prima di me, contento per essere
arrivato e per aver terminato quasi tre ore di sofferenza, non sapendo
che dopo l'arrivo avrei sofferto ancora di più.
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