Non vedo l'ora che arrivi il momento di
partire.
La notte in camerata è passata fra
qualche piccolo ronfo sparso (mancava l'ingegnere del suono Checco a
dirigere l'orchestra dei tromboni) e i segnali di disagio trasmessi
dal mio stomaco. Mi giro nel letto in cerca di una posizione che mi
faccia sentire a mio agio e addormentare. Dopo i primi 360 gradi, ho
esplorato tutto l'universo delle posizioni possibili e sono ritornato
alla posizione di partenza ma, non ancora soddisfatto, riparto per un
altro giro sperando vanamente di trovare qualcosa di diverso. E giro
ancora. Dopo qualcosa che somiglia ad un 10mila in pista finalmente
mi fermo. Mi alzo, esco silenziosamente dalla camerata calpestando
roba molle nel buio pesto e mi metto davanti al grande camino acceso
del salone. Comincio a massaggiare lo stomaco alternando movimenti
sussultori a movimenti ondulatori lenti. Ogni tanto una bolla di gas
esce trascinandosi dietro, fino quasi in gola, una scia acida. Mi
aggiro per il salone e per la cucina adiacente alla ricerca di
bicarbonato. Lo trovo solo di mattina nella mia borsa. Sciolgo la
polvere in una bottiglietta d'acqua e l'ingerisco. Non lo sapevo
ancora, ma quel giorno ne avrei mangiata tanta altra di polvere.
La mattina non vedo l'ora di partire
per completare la digestione e per rivivere l'esperienza di questa
gara che ricordo fantastica.
Arrivano Benedetto
con
la sua tendinite
bilaterale a tutti e due gli “Achilli"
e
Checco in bici
con la sua frattura
in più risme della falange distale del primo raggio,
Gianni reduce dalla 40 km di Baunei e Teo che aveva
corso la 80 km ma che oggi non parte.
Compare anche Gianni Goseli, l'antilope
di Nuoro. Ieri non era sicuro di partecipare ma poi si è deciso. Ora
so che dovrò guardarmi soprattutto da lui (ieri un solo minuto
dietro di me) e dal suo compagno di squadra dell'“amatori Nuoro”
Ettore Marotto (ieri a 2 minuti). C'è anche Sergio Piga, molto forte
in questo tipo di gare ma che, avendo saltato la gara di ieri, non è
in classifica per la combinata.
La mia tattica è semplice: lasciare
andare Calcaterra e Pajusco (eventualmente anche Piga) e puntare al
terzo posto controllando i due nuoresi. Un podio con Calcaterra e
Pajusco sarebbe un'enorme soddisfazione, come quello di due anni
prima con Calcaterra e Trentadue.
E alla partenza, come previsto, Giorgio
e Marco aumentano gradualmente l'andatura e se ne vanno. Come
previsto mi trovo con Gianni, Ettore e Sergio. Con noi, per un po',
anche Stefano Ciccarese e Pietro Casula. Sento un'imprecazione e
Stefano sparisce. Dopo metà del primo giro anche Pietro sparisce
all'indietro. Il prossimo sono io, lo so bene. Non reagisco agli
attacchi di Gianni in salita e poi di Ettore e approfitto dei ristori
e delle discese per riportarmi su di loro. Ma sono sempre un po'
dietro e la polvere sollevata dai tre davanti mi comincia a coprire
come un vecchio soprammobile.
La polvere dicevo. Terra seccata dalla
siccità, frantumata e arricchita di sostanze organiche dal passaggio
del bestiame, trasformata in una finissima polvere color marrone
scuro che copre una buona metà del percorso arrivando in molti punti
anche a 10-20 cm di profondità. Qui la scarpa sprofonda sotto la
polvere e quando alzo il piede sento i granelli finissimi che
attraversano le scarpe e le spesse calze fino ad penetrare in
profondità nei pori della pelle. Il resto si solleva in una nuvola
nera che, come scuro borotalco, asciuga occhi e bocca.
Alla fine del primo giro |
Faccio fatica. I piedi sono troppo
stretti nelle scarpe e cominciano a dolere martoriati anche dallo
sfregare della polvere. Ho l'impressione che la polvere sia penetrata
fin dentro ai muscoli delle cosce tanto li sento asciutti e rigidi.
Alla fine del primo giro di 30 km sono ancora a contatto con i tre in
lotta per l'ultimo gradino del podio e pur avendo l'occasione di
cambiare le scarpe, preferisco tirare avanti per non perdere del
tutto il treno. Serve a poco e di lì a poco mi
staccano definitivamente.
Anche quando, rimasto solo, non vedo più
il gruppo davanti, per un po' ne vedo la polvere che resta sollevata
nell'aria finché il vento non si decide a spazzarla via.
E poi non vedo neanche più quella e un
po' mi manca.
La polvere da reale si fa metaforica.
Quanta ne ho mangiata.
Mi ci sono volute ben 7 birre per
sciacquare la bocca
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