“Appuntamento al campo alle 8 in
punto: mi raccomando, puntuali che c'è molto da fare!”
Mi sveglio al rumore di una scarica di
starnuti di Maria. Sento tutto il peso di una notte di lotta fra il
bene e il male – anticorpi e virus – ma riesco ugualmente ad
aprire gli occhi; guardo l'ora al telefono e sono le 8.01. Mi consolo
all'idea che gli altri sono migliori di me e staranno già lavorando.
La testa è pesante, come se un'enorme colata di muco avesse riempito
la scatola cranica. Mi alzo, scendo in cucina e porto il beccuccio della caffettiera alla bocca,
sperando in un avanzo, ma ne esce solo un rigurgito polveroso. Sbrigo
le pratiche igieniche alla veloce, curando, per quanto possibile, il
lato esteriore, percepibile ai sensi e lasciando a tempi migliori
l'igiene intima. Oggi sarò esposto all'occhio pubblico ed esco
passandomi le dita a rastrello fra i capelli cercando di abbassarne
un ciuffo. Se almeno ci fosse vento non si noterebbe, ma trovo calma
piatta.
Mi servono soldi. Il primo bancomat non
capisce bene cosa voglio, “ho detto SOLDI!” Non serve urlare, non
accetta il mio codice e mi tratta come uno straniero. Maledizione
sono già in ritardo e ne devo cercare un altro. Il secondo mi tratta
come il primo. Allora, con una connessione neurale che, non so come,
riesce a penetrare lo strato viscoso di muco cerebrale, capisco che
sto usando la carta di credito invece del bancomat. Arrivo al campo
di gara alle 8 e 40, gloriosamente in ritardo. È una splendida
giornata di sole, l'attività ferve e ora mi è chiaro: andrà tutto
bene, nonostante me.
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