Se il passo dello Stelvio è a
2700m, il passo di genne soi è a 240m.
Se lo Stelvio
ha 48
tornanti, genne soi ne ha 3. Se
lo Stelvio ha il ghiacciaio, noi abbiamo la ghiacciaia, femmina, che
ci tiene in fresco le birre. Non
ne farei una questione di genere. Insomma,
è quasi la stessa cosa, solo
più piccolo e femmina.
L’amico Gianmarco aveva
deciso di partecipare alla versione virtuale della maratona dello
Stelvio (https://it.stelviomarathon.it/virtualrun)
percorrendo un circuito di 2.5 km con 145m di dislivello per
salire a genne soi, nel
parco di is olias. Facendo 17 giri, avrebbe
raggiunto
i 42.2km e 2500m D+ della gara originale. A differenza di quella, in
cui la discesa è quasi inesistente, il suo
circuito prevede altrettanto dislivello in discesa ed è quindi
decisamente più duro.Abbiamo deciso di aiutarlo nell’impresa organizzando un tavolo ristoro serio con acqua, caffè, anguria, pasticcini e, ovviamente, birra fresca – una sorta di “bar Sport” ma per sportivi veri – e di invitare chiunque volesse ad unirsi a lui.
Sabato,
nonotante
il brutto tempo,
siamo una ventina a correre,
su e giù da genne soi.
Gianmarco
viene a trovarci ma,
purtroppo, non può correre,
fermato da un problema
fisico ma
ci sono
ben altri
4 che si cimentano sulla distanza dei 42 km, portandola anche a
termine e tanti altri amici ed amiche ognuno
col suo obiettivo di fatica e divertimento.
Ci
sono anche io, senza iscrizione, senza gps e con gli obiettivi tutti
da inventare. La prima idea
era di fare il giro dei bar, bevendo una birra ad ogni giro, fino a
cadere a terra stremato. Poi
le incombenze organizzative
mi hanno fatto desistere e fino alle 9 resto
ad assistere quelli che
corrono.
Poi parto anch’io.
Piove
e decido di indossare il capo tecnico migliore, quello che lascia
scivolare l’acqua senza appesantirsi, che si asciuga più
velocemente, che si riscalda dall’interno, che traspira senza
appiccicarsi alla pelle; allora
tolgo la maglietta fradicia e resto a torso nudo con la mia
pelle taglia
“M”. Il ticchettio della
pioggia sulla pelle nuda,
il piacere di incrociare gli
altri o fare un pezzo di
strada con loro, di staccarli in salita,
di tagliare i tornanti nelle
discese, di sentire le cosce che bruciano nei tratti di salita che
superano il 20% ma senza mai smettere di correre, mi
riempiono di quelle sensazioni che provavo in gara e che mi hanno
fatto appassionare a questo sport. Non
ho obiettivi, se non quello di divertirmi a correre e il piacere dura
5 giri, fino a quando la schiena inizia a darmi fastidio nelle
ripide discese e i muscoli
ad irrigidirsi in salita.
Allora mi
fermo al bar e mi siedo
dietro al bancone, non
per servire ma per servirmi
e scambiare
4 chiacchiere con i clienti.
Abbiamo
contato circa 200 passaggi al bar
Sport,
facce sempre più sconvolte dalla stanchezza ma sempre più umane,
sorridenti, bisognose di
incitamenti, assetate di socialità.
Qualcuno, anche se non ha
sete, entra per scambiare due chiacchiere
o solo per gli occhi dolci della barista. Anche
quelli che le prime volte passavano frettolosi solo a bere un caffè
o un bicchiere d’acqua,
ora si fermano a ristorarsi
con calma. Ormai
sono clienti abituali, gente
che entra con un sorriso e
chiede:
“il solito”, ognuno con
il suo bicchiere personalizzato.
Riesco a convincere qualcuno
che la birra non è solo per il dopo corsa ma ha
la sua ragion d’essere anche
durante
e i tappi volano.
Sabato
lo Stelvio è
sceso
a Capoterra portando
nuvole e pioggia, corsa,
divertimento. Una corsa
virtuale piena di vita reale, di birra e sudore, di contatti sociali
che, pur non nella
contemporaneità dell’assembramento
dei classici “dopo gara”,
ma diluiti e ripetuti nel
tempo alla frequenza di
risonanza,
sono stati
mezzo di
condivisione e
scambio, veicolando
e amplificando la passione
comune per la corsa in montagna.
È stata, insomma,
un’esperienza molto positiva e da ripetere.
Alla
prossima!