L'entusiasmo è una corda trasparente
che vibra nell'aria e, quando un gruppo di persone si trova in
sintonia, entra in risonanza, amplificando le emozioni di ognuno.
Giovedì sera, Arbatax, Hotel Club
Saraceno. Venerdì mattina parte il Sardinia trail e sono in stanza
con l'amico Gigi. Sono qui grazie a lui che mi ha suggerito come
“scopa” e a Giandomenico che ha accettato. Dopo una cena buona e
abbondante, alle 10 siamo a letto. Sono stanco e spero di riuscire a
dormire. Ho delle escoriazioni sul braccio sinistro che non mi hanno
fatto dormire bene la notte prima. Ma il problema sarà un altro.
Sento un rumore venire dalla direzione di Gigi, presumibilmente dal
suo cellulare. Non è un “beep” ma proprio un trillo da
campanello, di quelli fatti per non passare inosservati. Dopo un po'
si ripete e poi ancora. Per curiosità guardo l'ora e noto che quel
trillo squillante si ripete a intervalli regolari, ogni 15 minuti.
Non riesco a dormire. Gigi invece dorme beato e non oso svegliarlo.
Ogni 15 minuti “driin” una bici mi sta per investire. Provo ad
infilarmi un rotolino di carta igienica nelle orecchie ma non serve a
nulla. Alle 5:35 suona la sveglia, quella vera ed è quasi piacevole,
la fine di un incubo, mi sento il cervello investito da 25
biciclette.
Dopo una bella colazione si sale col
pullman sul supramonte di Urzulei e si parte. Resto quasi subito solo
con la tedesca Annette. Scambio due parole, il minimo per creare
familiarità senza essere invadente. Il percorso diventa sempre più
bello. La strada lascia spazio al sentiero e poi si arriva sulla
luna. Codula de sa mela ricorda paesaggi dolomitici. Quando anche
Annette si entusiasma per il paesaggio la corda vibra e mi emoziono
ancora di più. Gli ultimi 3 chilometri del percorso sono su un
sentiero in ripida discesa verso Urzulei. Annette scende senza
problemi e resto con Matthias, uomo delle pianure della Vestfalia
capitato lì quasi per sbaglio e in grande difficoltà sul sentiero
ripido e sdrucciolevole. Improvviso per lui una lezione di discesa.
“The less you brake, the less you slip” Meno freni, meno scivoli.
Non ti devi fermare ad ogni passo. Cerca un punto di arresto – un
albero, un grande sasso o un punto pianeggiante – più giù, sposta
il peso in avanti e vai fino a lì senza frenare. Offro una
dimostrazione pratica. Seguendomi, un po' migliora e, sia pure con
sofferenza e lentezza, arriviamo in paese accolti da un buon
rinfresco e poi nella spiaggia dell'albergo con due nuotatine
inframezzate da una breve dormita sulla sdraio.
Sabato mattina la maglia che
avevo usato e lavato il giorno prima è ancora bagnata. Potrei
indossarne un'altra ma il vero uomo che è in me, mi sussurra col suo
vocione profondo e ottuso: “beh, che problema c'è? Indossala così
in mezz'ora si asciuga con il calore della pelle” come fanno i veri
uomini veramente scemi. Il calore che asciuga la maglia, ovvimente, è
sottratto al corpo e i muscoli della schiena si raffreddano. Mi chino
per raccogliere qualcosa da terra e mentre mi rialzo sento una
mitragliata a livello lombare che mi lascia rigido e dolente. Dico ad
Andrea, direttore di gara, che non sono sicuro di riuscire a correre
i 42 km della tappa e mi trova subito un compito alternativo. Salgo a
punta Lamarmora segnando il percorso con i nastri arancioni poi resto
4 ore lì in cima al mondo, insieme a Leonardo, a controllare i
passaggi in vetta e ad incoraggiare gli atleti. È il punto più
bello, con vista panoramica su tutta la Sardegna e sulla fatica degli
atleti; si fermano tutti lì a respirare quell'aria speciale che si
trova solo in cima, a fare una foto o a scambiare due parole. Quando
rimane solo Matthias gli vado incontro e poi scendo con lui dalla
cima del mondo togliendo i nastri dal percorso. Poco dopo sono
sopraffatto dai nastri e lo perdo di vista. Maledico il mio eccesso
di zelo che mi ha fatto mettere tutti quei nastri anche dove non
erano strettamente necessari. Lo zaino si riempie subito, poi le
tasche, poi li infilo nella borraccia, nei pantaloncini, nella maglia
… quando arrivo sembro l'omino Michelin.
Domenica mattina, ultima tappa. La
schiena è ancora indolenzita ma sono sicuro che riuscirò a correre.
Oggi il servizio scopa è più importante perché sono molti i punti
tecnici in cui gli atleti potrebbero avere difficoltà e in cui i
mezzi non possono intervenire. E infatti già nel primo sentiero che
percorre la spettacolare scogliera a picco sul mare, Manuela e
Matthias, la piccola sarda e il gigante delle pianure della
Vestfalia, sono in difficoltà. Hanno paura, soffrono di vertigini e
in qualche punto particolarmente esposto, si attaccano come patelle
al suolo.
Li tranquillizzo e li prendo per mano,
uno per volta, accompagnandoli attraverso i passaggi più
impressionanti. Poi Manu accelera e fa una grande gara recuperando
diverse posizioni. Resto con il tedesco, preoccupato alla prospettiva
delle discese tecniche che ci attendono. Tranquillo, gli dico, ti ci
porto io all'arrivo.
Gli ultimi 9 chilometri sono di nuovo
tecnici. Ad ogni passo soffre e ad ogni nuova salita o discesa si
demoralizza e gli prometto una birra fresca all'arrivo. Finalmente
ecco la spiaggia e l'arco dell'arrivo a poco più di un chilometro di
distanza. Vedo Efisio qualche centinaio di metri avanti a noi. Dico a
Matthias di provare a raggiungerlo; io invece mi tolgo zaino e scarpe
(la maglia l'avevo già tolta quasi 5 ore prima) e mi butto in acqua.
La sognavo da ore. Due minuti, giusto il tempo per abbassare di un
paio di gradi la temperatura corporea. Poi prendo le scarpe in mano e
comincio a correre con i piedi nell'acqua. La sabbia del bagnasciuga
è grossa e le pietruzze sfregano sulla pelle dei piedi facendosi
sentire. È una sensazione forte, qualcuno direbbe dolorosa ma da
grandi si impara ad apprezzare i gusti forti come il caffè amaro o i
sassolini sotto i piedi. Oggi è tutto forte e noi siamo grandi.
Cerco di raggiungere gli ultimi ma Matthias e Efisio hanno troppo
vantaggio. Mi preparo ad arrivare inosservato, non sono un atleta,
sono solo uno dello staff; mi fermo a parlare con il medico di gara
ma sento che mi chiamano al traguardo; ricomincio a correre e arrivo
a scarpe alzate con tutti gli atleti che mi incitano e mi tengono
perfino il nastro del traguardo, che taglio con un colpo di pancia.
Che accoglienza, che emozione. Forse meglio di una vittoria.
Sono cotto. Cotto dal sole, dalla
mancanza di sonno, dalla stanchezza, dal mal di schiena ma la corda
vibra … anzi, proprio in queste condizioni di spossatezza fisica,
di passione comune, la sintonia con gli altri è immediata, le
vibrazioni si amplificano e non servono parole, o ne bastano poche –
come quando Matthias mi ringrazia dicendomi “I'll never forget you
(non ti dimenticherò mai)” – e la vibrazione si trasmette in un
brivido che corre lungo la schiena.
Viva il trail! Viva la
Sardegna! Viva il Sardinia Trail!
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