Foto di Arnaldo Aru |
Montiferru, marganai,
porto corallo: in tutto 25 ore sotto l'acqua. Non ho l'ombrello e ho
un buco nella testa, l'acqua mi entra nel cervello e scava solchi
nell'anima. Non muoio, non mi ammalo neanche. Mi si erode solo il
cervello e una fanghiglia neuronale mi cola dal naso. Dopo tante ore,
non cerco neanche più di contenerla, di tamponare le perdite
cerebrali tappando le narici col fazzoletto. La lascio colare, anzi,
la spargo a spruzzo con la tecnica del coniglietto aerosol. Pian
piano, la mia materia grigia sparsa nell'atmosfera si unisce alla
pan-intelligenza cosmica. Il cervello si sta svuotando, dilavato, ma
la mia coscienza ora si fonde con quella dell'universo. Sono parte di
questa nebbia che pervade l'aria, di questa “cloud” che raccoglie
e sintonizza le informazioni dando un senso all'insieme.
Breve chiacchierata col
grande Filippo, ispirazione per tutto l'ambiente. “Muoviamoci ora,
che sta per piovere.”
Ed è subito acqua, mare
incacchiato e piedi a mollo.
Il telefono, come al
solito, dopo la prima ora di esposizione alle intemperie decide, in
autonomia, di spegnersi. Si crede smart, lui, più di noi che stiamo
accesi per sei ore sotto la pioggia, ma non sa cosa si perde. È
fuori da questo “tutto”, troppo presuntuoso per capire.
Allerta arancione, cielo
grigio. La primavera, con il giallo delle ginestre, il viola delle
orchidee e della lavanda fiorita, si manifesta un po' sbiadita, in
sordina; sembra quasi spenta. Ma entro in sintonia con le goccioline
e vedo che sorride; capisco che si è solo fermata un attimo a
dissetarsi, prima di esplodere in tutta la sua energia vitale.
Acqua, acqua, acqua. Le
pozzanghere arrivano al polpaccio. “Andiamo, che sta per piovere”
Sono in sintonia con il
fango che rende scivolosi i sentieri in discesa. Ci vuole intuito, in
una frazione di secondo bisogna elaborare una sequenza di passi
dinamica e un punto di arresto morbido, se necessario, anche col
sedere. Io non ho bisogno di pensare, è il fango che mi guida; sono
io il fango e più ce n'è più mi diverto a scendere veloce.
Sintonia con gli ultimi.
Non so come si chiamano ma non importa. Sono amici già da prima di
conoscerli e intuisco i loro desideri. Arrivare ma soprattutto essere
lì. Mi faccio leggero, quasi trasparente per non pesare con la mia
presenza. Mi dissolvo nell'aria e mi concretizzo materialmente solo
dopo il traguardo, con un forte abbraccio.
“Andiamo, che sta per
piovere”
Sintonia con gli
organizzatori. sintonia di prospettive su quest'isola meravigliosa.
Desidero una birra e la birra si materializza, loro desiderano vedere
me, la scopa che chiude e io mi materializzo. Poi l'arrivo,
accoglienza da re, la focaccia di cipolle e i malloreddus.
Ecco che parte un altro
spruzzo di coscienza … a guardarlo meglio sembra muco. Forse
allora è il grande muco cosmico la materia oscura, quella che ci
tiene appiccicati, in sintonia con la natura e che veicola il senso
del “tutto”? Non importa, sia quel che sia, la sostanza non
cambia: è stata una giornata di fusione con la natura, di
condivisione, di passione, resa ancora più forte ed epica dalle
condizioni difficili. La mamma (a parte la mia) non ci avrebbe
lasciati uscire a giocare nel fango, con questo tempaccio. La
“società” ci guarda come pazzi. Che ne capiscono della bellezza
di tutto questo? Hanno mai visto la primavera che sorride sotto la
pioggia? Si meritano di restare chiusi in casa con i loro smart
phones supponenti e Barbara D'Urso. A loro domenica in, a noi
domenica out.
Grazie a Matteo per
l'invito, ai Sarrabus Runners, a tutti i volontari, ai compagni di
viaggio e alla natura; un'altra giornata piena di vita è passata e
me ne restano, fino a prova contraria, altre 17121.
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