Bisognerebbe riproporre la
centralità dell'uomo e del suo benessere inteso come vivere bene e
non come diritto all'obesità e alla cura dell'obesità.
Riappropriarsi del tempo e del gusto di viverlo come piace a noi e
non come ci dicono di fare, godersi i frattempi e costruirci
rettangoli di vita; riappropriarsi della socialità sana, quella
della solidarietà, dello scambio culturale, del lavoro inteso come attività utile alla
società e non all'economia. Per poterlo
fare bisognerebbe uscire dal vortice che ci trascina, l'“economia
globale”, cercando di governarlo. È l'economia che dovrebbe
servire a far star bene l'uomo e non l'uomo che deve vivere tutta la
propria vita per spingere l'economia. Questo vortice, oltre
all'umanità, sta distruggendo il mondo perché la chimera di un
continuo aumento della produzione e del consumo, quel famoso segno
“più” del PIL senza il quale sembra impossibile vivere, va inevitabilmente a
scontrarsi con i limiti fisici del pianeta in cui viviamo.
Speravo nella crisi. Speravo
che l'umanità prendesse spunto dalla crisi per capire che stava
sbagliando qualcosa e per cercare di cambiare il sistema, invertendo il
rapporto di priorità fra l'uomo e il soldo. E invece no. Si fa di
tutto per far ripartire la trottola: spingi il PIL, sacrificati,
“produci, consuma, crepa”.
E domani vado a votare per
cosa? Non si può governare l'economia globale da una piccola
sporgenza a forma di stivale.
Tutti a mentire per prendere
il comando della barra di un relitto alla deriva senza timone. Costretti a
mentire per dare una speranza. Datemi il comando e vi porto a New
York, disse uno dei naufraghi in balia della corrente.
Non mi resta che uscire a correre, sotto la pioggia, in montagna per sciacquare le idee e rendere il più piacevole possibile questa deriva.
Non mi resta che uscire a correre, sotto la pioggia, in montagna per sciacquare le idee e rendere il più piacevole possibile questa deriva.
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