Giro dell'isola: seguire il mare
finché non si torna al punto di partenza. La semplicità logica di
un tale percorso, lo renderebbe matematicamente perfetto,
topologicamente semplice, come un giro dl pista e mentalmente
rilassante. Non ci si perde, guidati dal mare. Il giro completo
dell'isola di San Pietro sarebbe lungo 50 km. Cifra tonda, percorso
tondo, un cerchio perfetto. Non so a voi, ma a me l'idea di un
percorso inteso come entità geometrica piace davvero. Una
traversata, come può essere il “passatore”, il giro di un lago
come la “strasimeno” o di un'isola, come potrebbe essere questo;
non uno scarabocchio per divertirsi a correre ma un percorso di senso
compiuto. Certo che, fare 50 km per partire dal punto A e tornare al
punto A può sembrare privo di senso pratico. Matematicamente però è
rilevante. I percorsi sono lineari, le superfici sono bidimensionali.
Fra gli infiniti possibili percorsi su una superficie, quello
perimetrale è forse il più significativo, in quanto circonda
l'intero territorio. La conoscenza completa del bordo, può infatti
definire in modo univoco ciò che vi è contenuto e l'esplorazione
assume un senso di piacevole completezza; è un po' come completare
la cornice di un puzzle.
Da questo punto di vista il “tuna
coast trail” è bellissimo anche se può essere migliorato
ulteriormente. Ma non c'è solo la bellezza matematica; il confine
terra-mare o, più in generale, terra-acqua, è spesso estremamente
affascinante, testimone di una lotta millenaria fra elementi, tra
fasi condensate della materia, fra eruzione ed erosione, terra che
esce dall'acqua e acqua che la porta via. Questa lotta potente e
terribile lascia segni immani. La durezza della lotta si riflette nel
paesaggio: resta solo roccia solida che resiste all'erosione, un
territorio duro e segnato dal tempo.
A proposito di forze devastanti ...
I giorni immediatamente successivi
alla chiusura delle scuole, forse sarebbe consigliabile restare
chiusi in casa. Ci sono megatoni di energia allo stato puro che si
libera e devasta tutto ciò che incontra. Non è cattiva educazione
ma il giusto sfogo di prigionieri subito dopo la liberazione.
Spiaggia “la bobba”; il giorno
prima della gara vedo tre bambini che sventolano, felici, delle
bandierine rosse. Le bandiere rosse non sono lì perché il comunismo
ha trionfato e neanche perché il mare è mosso. Avrebbero dovuto
segnare il percorso del “tuna coast trail” ma ora sono trofei di
guerra conquistati dall'orda.
Grazie a Matteo, Cristina, Enrico e
tanti altri, si riesce a rimediare e sabato alle 8, si parte
puntuali.
Seguo gli ultimi e resto, quasi subito
con Melania, poi con Tiziano che aspetta Melania e, più tardi, con
Simone che, stufo di perdersi, aspetta Tiziano che aspetta Melania.
Non c'è sentiero. Si seguono i nastri arancioni e le bandierine
rosse che guidano e suggeriscono passaggi fra le rocce, per
attraversare canaloni e costeggiare il bordo della scogliera che si
affaccia a picco sul mare. Si segue il perimetro. Tiziano ha occhio;
va avanti e ci fa da riferimento. Io e Melania chiudiamo il gruppo.
Brava Melania, prima e unica donna coraggiosa sul percorso lungo, e
simpatica, riesce a parlare perfino con me.
Si alternano passaggi in gole
selvagge, desertiche, crateri lunari, con passaggi fra case di
villeggiatura ma dominano le rocce: rocce nere, poi rosse, poi
bianche. Siamo al solstizio e il sole si alza fino a sfiorare lo
zenit. Gli alberi sono pochissimi; non c'è ombra e le cinghie dello
zainetto mi lasciano un tatuaggio bianco sulla pelle rossa.
Dall'abbronzatura, si può riconoscere
l'attività praticata. C'è quella noiosamente uniforme di chi
pratica lettini UV; quella bella, dal ginocchio in giù dei ciclisti;
quella, bellissima, a canottiera di podisti, triatleti e operai edili
e poi c'è la mia, fantastica; dalle due strisce, sul ventre e sul
petto, si può intuire che sono stato legato, per ore, a qualcosa:
trailer legato ad uno zainetto o prigioniero di guerra, legato ad un
totem. La pelle è rossa. Sono io l'indiano. La carne è rossa, sono
il tonno, l'eroe. Segni di tortura lo testimoniano.
Si corre poco. Mi adeguo facilmente al
ritmo lento. I piedi mi sembrano pesanti, goffi, il terreno duro e
pieno di inciampi, tanto che ho l'impressione che se anche fossi
solo, non andrei più svelto. Un paio di sederate me lo confermano.
Il mare è sempre presente, vicinissimo; il bordo dell'isola però è
rialzato e l'acqua resta ad una distanza verticale di qualche decina
di metri. La planimetria sfiora il mare ma l'altimetria non scende
quasi mai sotto i 20 metri. La terra si difende dall'erosione
arroccandosi e separandoci dal mare. A volte sembra di arrivarci ma
poi sfugge. Voglio spegnere il fuoco che mi sta bruciando la pelle e
mi prometto che a cala fico, mi butterò in acqua.
Mentre gli altri si attardano al
ristoro, finalmente posso realizzare il mio sogno. Cala fico,
profonda insenatura, magnifica e dura, ricoperta da grosse rocce
arrotondate dal mare e barche abbandonate. In una di quelle, molti
anni prima, avevo passato la notte, approfittando del fondo liscio
per appoggiare il sacco a pelo. L'acqua è freschissima e morbida.
Mi ci adagio per un paio di minuti. È così bello che penso che
dovrebbe essere obbligatorio tuffarsi. Basterebbe mettere la
bandierina su una boa e la punzonatura su una barca.
Quando, al trentesimo km il percorso
lascia la costa, tagliando per l'interno, sono stanco e completamente
cotto dal sole ma mi dispiace; avrei preferito continuare lungo la
costa. Nonostante la distanza maggiore e il fondo più tecnico, la
presenza del mare, di quel mare spettacolare, avrebbe dato
significato alla fatica oltre che un senso logico e topo-logico
compiuto al percorso. Stiamo abbandonando la perfezione matematica
della circonferenza per fare un taglio arbitrario; stiamo
abbandonando il fascino della lotta terra-acqua per un territorio
noiosamente placido. Striscio lungo il bordo della strada, per
cercare l'ombra di cespugli e muri. Ecco, finalmente si vedono
dall'alto le case di Carloforte, colorate pittoresche, ombrose.
Tiziano e Simone ci aspettano e, dopo 42 km e più di 8 ore, arriviamo insieme. È stata una
giornata bellissima, quasi perfetta.
Mi resta il miraggio di un percorso
misto terra-acqua o terra-birra, solido-liquido con bandierine nel
mare fissate su boe e birre fresche al culmine delle risalite verso
l'interno. Beh, due tuffi e sei birre fresche li ho comunque avuti.
Mi è mancato solo il giro completo, per chiudere il cerchio
perfetto. Lo aspetto, con fiducia, l'anno prossimo!
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