Le condizioni meteo sono
ideali: calma di vento, neanche una nuvola e 18 gradi. In casa,
intendo. Fuori c'è Thor, Caronte o il Grande Sciacquone; bufere,
bombe d'acqua, tzunami di calore e ho anche un dolorino.
Insomma, non ho voglia di
uscire a correre.
Perché esco lo stesso?
Sarebbe comodo usare lo
stesso senso del dovere che mi fa andare al lavoro anche quando è
grigio e manca la voglia ma sarebbe sbagliato. Il senso del dovere
devo tenerlo per le cose importanti che il mio è stretto e a tirarlo
da una parte manca dalle altre.
Bisogna pensare al
divertimento. Quello immediato del volo che ad ogni passo di corsa ci
solleva in aria o ci fa planare nelle discese a rotta di collo;
quello di balzare per evitare pozzanghere o per saltarci dentro;
quello di infilarsi nei sentieri sconosciuti del livello 2.0. Se non
bastasse, si può pensare anche al divertimento futuro, immaginando
che finendo il quadro accederemo al livello 3.0 dove troveremo quella
maledetta discesa verso Faenza o la lotta per un podio con i migliori
atleti di categoria. Anche se mancasse il divertimento immediato,
infatti, un po' di sofferenza è utile a migliorarsi e divertirsi di
più in futuro. Bisogna essere consapevoli di ciò ma anche stare
attenti che la sofferenza non prenda il sopravvento sul divertimento.
Non deve essere il “senso
del dovere” che ci fa correre, perché quello, prima o poi,
finisce. Dev'essere il divertimento o, almeno, la prospettiva di
divertimento futuro; non in paradiso, intendiamoci, ma in un futuro
vicino, quasi tangibile e seguirne l'odore con l'acquolina in bocca.
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