Dopo le fatiche del passatore in
poltrona eccomi finalmente con le scarpette ai piedi e il pettorale
appuntato sulla canottiera sociale. Manca un quarto d'ora alla
partenza e sto finendo di cambiarmi. Gavino sta cercando il pettorale
di Thomas nel baule dell'auto, poi mi guarda in direzione dello
stomaco: “sei sicuro che non sia quello che hai addosso? Dal numero
mi sembrerebbe ...” in questo periodo in cui si parla di
tagliatori, dopati, imbroglioni ... avrei fatto proprio una brutta
figura con il pettorale di un altro!
Doping genetico, si chiama. Thomas che corre con il DNA di un altro,
e che DNA spettacolare!
A proposito di imbroglioni, questa gara intorno al lago ha un bel
vantaggio. Provate ad immaginare: “I sommozzatori stanno
scandagliando il fondo del lago alla ricerca dell'atleta disperso,
pettorale “888” che, secondo alcune testimonianze, potrebbe
essere annegato cercando una scorciatoia.” Vita dura per i
tagliatori. Io per fortuna non sono sarto ma chirurgo e cerco la via
più breve, la linea retta tangente agli interni delle curve operando
tagli millimetrici agli 11.4 km di gara. Le mie linee matematiche
purtroppo, soprattutto nei primi chilometri sono ingombre di podisti
che me le calpestano senza rispetto alcuno. Fra il secondo e terzo
chilometro mi trovo in un bel grappolo di atleti in cui riconosco
almeno 4 rivali di categoria e, per poter percorrere traiettorie
ottimali verso il podio di categoria, sono costretto a forzare
l'andatura. È dura: non sono più abituato a correre a 3'40” al km
e col caldo e i saliscendi rischio di scoppiare. L'esperienza però
mi aiuta; rallento in salita evitando di alzare il ritmo del cuore e
mi lascio superare con gandhiana rassegnazione; poi, quando arriva la
discesa, continuando a spingere con la stessa intensità recupero le
posizioni perse superando senza pietà chi mi aveva passato prima e
qualcuno in più. Chi sarebbe questo Gandhi? Finalmente sono quasi
solo con le mie linee perfette. Mi volto, vedo che i miei vecchietti
cinquantenni non mi hanno seguito e calo leggermente l'andatura.
Ormai siamo sulla via del ritorno. Non mi resta che fare il conto
alla rovescia e controllare l'identità (e soprattutto la categoria)
di quelli che mi affiancano. Sono tutti più giovani e li lascio
passare. A due chilometri dall'arrivo mi concedo di forzare
leggermente l'andatura e in salita soffio come un mantice. La bocca è
spalancata fissa. Si soffre, ma il bello della gara è anche questo
cercare di esprimere al massimo le proprie potenzialità e scoprire
risorse inesplorate o sbattere contro limiti invalicabili.
Foto di Arnaldo Aru |
Per completare il giro del lago resta
solo l'ultimo rettilineo sulla diga; vedo il traguardo a circa 600
metri e accelero ancora, a 3'40; sto dando tutto quello che mi rimane
ma non basta: mi stanno raggiungendo in due e uno è Mario della mia
categoria. Visto in pericolo il cestino più grosso, devo dare più
di tutto; prendo in prestito un po' di vita futura e aumento a 3'30 e
gli ultimi 100 metri a 3'20. È uno sprint da vecchietto, lo so, ma
mi basta a tenere la posizione e conquistare il primo posto di
categoria. Stringo la mano a Mario e lo rimprovero: “mi hai fatto
sudare, per colpa tua mi toccherà lavare la canottiera.”
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