Il monte è un colabrodo, pieno di
acqua freschissima che esce da tutti i buchi. Ogni sorgente è
incorniciata da un boschetto di ontani che l'ombreggia, tiene
l'acqua al fresco e ne approfitta per bere. Devono esserci molti
cubetti di ghiaccio lì dentro al monte e un barista generoso. Fuori
è caldo e il contrasto offre sensazioni potenti. Forse ci vorrebbe
una sdraio per starsene a sorseggiare il drink di acqua sorgiva,
spanciati come tutte quelle mucche floride che fioriscono lì sul
sentiero come margherite. Non sono abituate a quella pancia da vacche
svizzere e si abbandonano mollemente al suolo..
Al cospetto di ciò, si torna bambini,
come dice Luana. O forse si torna ancora più indietro, all'infanzia
dell'umanità, quando l'uomo era umano, al tempo in cui si godeva dei
5 sensi e anche del sesto che ora si è perso. Non c'è orario, o
meglio, c'era ma ha perso subito di significato e ci si prende il
tempo per divertirsi e godere di ciò che offre il monte: panorami
immensi, fontane, bagni nel sole e in pozze d'acqua freschissima.
Spariscono tutti i vincoli, tranne le
semplici dinamiche di gruppo, basate su condivisione e solidarietà;
dinamiche in cui il ritmo non lo fa il primo ma l'ultimo.
Ci deve essere un ultimo, quello più
lento. quello a cui i corvi girano intorno. È un ruolo che non
piace. Può far sentire di peso, non adeguati, inferiori. Ma sono
sensazioni legate alla società moderna e qui sono fuori luogo. In un
insieme finito un ultimo c'è per necessità matematica, ne siamo
consapevoli; anzi, è tranquillizzante sapere che quel ruolo è
coperto da altri e quei corvi non sono lì per te; qui tutti vogliono
bene all'ultimo.
Inizialmente l'ultimo sembra
Funtanaliras Cirronis: è il suo intestino che dà il ritmo al
gruppo. Cerca un bagno nei ruderi del rifugio Lamarmora e poco dopo
si deve fermare di nuovo. Non lo fa pesare e fa finta di niente per
ingannare i corvi Ma poi si riprende
Poi sono io che, scendendo veloce
verso Girgini, metto male il piede sinistro e sento una fitta, e poi
la risento ogni volta che appoggio il piede in quel certo qual modo;
devo correre con molta prudenza. Resto in coda a dettare il passo dal
didietro e guardo su aspettando l'arrivo dei corvi. Anch'io faccio finta di
niente. Poi metto il piede nel ghiaccio del monte e dietro il piede,
mi immergo completamente in quell'acqua che tutto aggiusta. Ecco, ora
non sono più l'ultimo. Forse anche Gianni e Luana hanno i loro corvi
ma non sembra.
I sospetti sull'ingegnere invece
cominciano a venire quando non sbaglia più strada. Anzi, è l'unico
che dopo l'ennesima sorgente, stava andando nella direzione giusta.
Ha perso quello spirito alla “vispa Teresa” che in condizioni
normali lo fa sfarfallare qui e lì. Le forze lo abbandonano appena
prima della salita in cima al mondo. “Lasciatemi qui”, dice, “non
mi aspettate”. E mentre Morricone suona un'armonica, l'ingegnere
resta spanciato sul sentiero, come una di quelle vacche grasse, sotto
una leggera pioggerella di saliva di corvo; “andate pure”. Andiamo
un po' avanti per lasciarlo tranquillo ma poi ci fermiamo a guardare.
“Si muove, è ancora vivo°. Vediamo che sputa l'anima e l'osserva
per un'introspezione. Poi riparte. È lui, ora, che detta il ritmo. Ed
è un ritmo che lascia il tempo di respirare, di vivere quegli spazi
immensi. Siamo in cima al mondo; da qui ci sono infiniti piccoli
particolari da osservare e il tempo non basta mai. Intanto Checco fra
un'introspezione e un'altra, mangia una caramella ed ecco che si
riprende, ricomincia perfino a corricchiare. Fra la delusione dei
corvi, riusciamo a tornare alle auto tutti vivi.
Un'altra bellissima giornata ricca di
particolari e piena di vita condivisa è passata e me ne restano,
fino a prova contraria, altre 17007. Corvi, dovrete aspettare ancora
parecchio.
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