Mi tasto le tasche per la
quarta volta. Poi svuoto lo zaino e lo riempio per la seconda volta.
Dovrei avere più fiducia in me. Le chiavi dell'auto infatti erano al
loro posto, buone buone, in auto, ad aspettarmi.
Tapasciando. Foto di Fernando Usai |
Bella gara al colle.
Attardatomi in chiacchiere, alla partenza mi sono ritrovato nelle
retrovie e ho dovuto slalomare superando con impeto grintose
camminatrici per poter raggiungere il mio ritmo superiore di 4'40.
Troppo veloce; si suda. Ok, devo rallentare per togliermi la giacca e
legarla, elegantemente, alla vita. Controvento, cerco riparo dietro
ai più corpulenti per poi superarli con passo leggero appena si
cambia direzione.
Arriva la salita e sembra
di scalare il monte bianco; ho dovuto camminare per non far scoppiare
il cuore poi, dopo la vetta, ho lasciato andare le gambe e superato
atleti di un certo livello. In discesa, i piedi, resi poco reattivi
dallo scarso allenamento, sbatacchiano sull'asfalto facendo il tipico
suono “tapash-tapash” dell'appoggio tacco-punta; spero che
nessuno lo noti; faccio finta di non sentirli e mi diverto facendo le
pieghe in curva. Con lo slancio della discesa cerco di tenere la
velocità anche in pianura ma ho già corso più di 3 chilometri e
sono un po' stanco. Avvicinandomi al traguardo faccio lo sprint al
contrario per sembrare rilassato all'arrivo. È non competitiva e non
c'è nessuno che arrivi con me per un bello sprint per la
centordicesima posizione. Pazienza, vanno tutti dritti per gli altri
2 giri della competitiva. Nonostante ciò, ho anche i miei bei
tifosi, quelli personali, i più belli di tutti. Arrivo soddisfatto.
4 km a 4'45 al km e ho camminato davvero poco. Ormai sto prendendo
gusto al tapasciare; basta non allenarsi e si riesce a faticare anche
andando piano, almeno quel tanto da saziare la voglia di correre,
giustificare un ricco buffet e avere qualcosa da raccontare.
Sono uscito dalla
crisalide. La metamorfosi da sacchettaro a tapascione è ormai
completa.
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