In
piazza a Piovene c'è festa con musica dal vivo. Forse è per noi o
almeno mi piace pensarlo. Nel recinto per la partenza siamo circa
trecento. Mi guardo intorno: sono quasi tutti giovani, magri,
super-equipaggiati … dove sono i vecchi tapascioni sovrappeso che
vedo di solito alla partenza delle gare e che mi danno tanta
sicurezza? Non li vedo, anzi, ho l'impressione che siano gli altri a
guardarmi pensando: "se ce la fa quello, vuoi che non ce la
faccia io?" Inizia il conto alla rovescia, saluto Enrico, penso
che lo rivedrò solo al traguardo; tutti accendono le luci frontali e
a mezzanotte in punto si parte. Dopo un paio di km si esce dal paese
e inizia la salita su una comoda carrareccia; ognuno può andare al
suo ritmo. Quasi tutti usano i bastoncini e camminano molto veloci.
Io perdo un po' di posizioni camminando ma le recupero alternando con
la corsa nei punti meno ripidi. In realtà non bado alla posizione ma
solo a tenere un ritmo decente. Siamo nel bosco e non si vede molto
oltre la strada. In cielo la luna ci conferma che sarà una notte
serena; l'aria calda e umida mi si condensa addosso infradiciando
quasi subito pantaloncini e maglietta. La salita è abbastanza facile
ma lunga e impiego quasi un'ora e mezza per scollinare. I primi mille
metri di salita sono andati, il minimo sindacale è dietro di me. La
discesa successiva è molto più divertente. Dopo una prima parte
tecnica ma senza particolari emozioni, si arriva sulla cresta
rocciosa. La frontale illumina solo il sentiero: appena più in là,
il buio del vuoto. Ogni tanto si scorgono luci lontane in basso che
fanno intuire il precipizio. Moltissimi volontari sono sul percorso
per invitare alla prudenza; è davvero affascinante anche se un po'
pauroso. Siamo in fila indiana ma intorno alla cinquantesima
posizione si viaggia relativamente rapidi. Non ho fretta e non provo
a superare. La discesa finisce su una strada asfaltata dov'è situato
il primo ristoro e dopo una breve sosta, riparto, di nuovo in salita,
verso il monte Novegno. Ora la densità di atleti è molto più bassa
e mi ritrovo in compagnia di Sabrina, seconda fra le donne. Finora, a
parte le chiacchiere di amici che viaggiano insieme e i continui
incitamenti dei tanti volontari sul percorso, non ho sentito quasi
nessuno scambio verbale fra concorrenti. Sarà che sono le due
passate e a quest'ora si dorme. Quando il panorama si apre sulle luci
della valle ne approfitto per esprimere la mia meraviglia e lo
scambio di due parole è sufficiente per creare quel minimo di
intimità che aiuta a sentirsi un po' meno soli, un po' meno pazzi in
questa follia. Si continua a salire dolcemente, fra pascoli neri con
mucche nere dagli occhi a lampadina, fino al secondo ristoro. Fra le
solite bevande noto la birra. Questa la berrò dopo, dico. Si
continua ancora in leggera salita fino all'imponente forte Rione,
dove comincia un primo assaggio di strada di guerra con gallerie
scavate fra rocce spettacolari; sono a 2000D+, vicino al mio record
di dislivello giornaliero, stanco ma ancora ben vivo. Il percorso
lascia presto la strada militare per un sentiero tecnico fra sassi e
radici; scendo veloce superando 3 o 4 concorrenti ma gli appoggi
irregolari mi costano un indolenzimento sotto il piede destro e alle
ginocchia.
Nell'altimetria,
fra enormi denti da squalo, spunta un dentino che sembra da latte o
al massimo da pappetta: il dente di monte Alba. Ne avevo sentito
parlare e Marco me lo aveva confermato: nonostante l'apparenza, è
uno dei più terribili. Sono ancora lanciato e supero velocemente le
prime brevi rampe e qualche concorrente. Il prossimo lo riconosco
dalle calze gialle firmate artzia: è Enrico! Sono contento di averlo
raggiunto, non me lo aspettavo. Ho paura che sia in crisi. Mi
rassicura a parole e ancora meglio staccandomi appena finiscono le
rampe scoscese e inizia la discesa. Lo raggiungo poco oltre, al
ristoro di passo Xomo; bevo un bicchiere di birra, poi, vedendo
arrivare un gruppone, decido di ripartire subito: non mi piace
correre intruppato, preferisco avere spazio davanti per godermi la
visuale a 360o.
Intanto
comincia a schiarire, anche i peggiori tiratardi stanno uscendo dalle
discoteche per andare a dormire; sono le 5 quando arrivo all'imbocco
della strada delle 52 gallerie, una strada costruita durante la prima
guerra mondiale che risale l'imponente parete rocciosa del monte
Pasubio. Gallerie brevi si alternano ad altre lunghe che salgono "a
chiocciola" per superare dislivelli. Si affacciano su balconi
spettacolari, strapiombi con vista su guglie dolomitiche. Fuori dalle
gallerie spengo la frontale per assaporare meglio la luce del primo
mattino. Non vado veloce. Sono stanco e mi voglio godere lo
spettacolo. Le gallerie hanno molte aperture sul vuoto per la luce.
Una volta ne sto per imboccare una ma trovo subito un volontario che
mi ferma prima del salto. Il sentiero, fra cenge naturali e
gallerie, è tutto sul baratro ma sufficientemente largo da non dare
vertigine; ogni tanto la cerco, affacciandomi sul vuoto. Le gallerie
sono numerate. 52 sono davvero tante e, nonostante la bellezza del
posto, dopo un po' non vedo l'ora che finiscano; me ne sarebbero
bastate una trentina ma si continua a contare. Un ragazzo che corre
poco avanti a me mi fa notare un bellissimo capriolo su un balconcino
erboso vicinissimo al sentiero. Poi le gallerie continuano ma la
strada comincia a spianare; trenta non bastavano, il meglio è ora.
La cinquantaduesima segna anche l'inizio della discesa al rifugio
Papa. Poco oltre mi raggiunge Enrico, con la go-pro in azione e un
gran sorriso: si sta divertendo anche lui. La prima parte di discesa
su strada carrozzabile con pendenza dolce inviterebbe a correre
veloce ma le gambe dolgono e lascio andare Enrico perdendolo quasi
subito di vista. Poi iniziano le scorciatorie su sentieri ripidi e
soffro ancora di più. Pian delle Fugazze è vicino e il primo
obiettivo è ormai praticamente raggiunto ma vorrei arrivarci con le
gambe non completamente distrutte per avere il coraggio di ripartire.
Quando sto per arrivare al ristoro vedo Enrico che sta già
cominciando la salita successiva. Ci vediamo al traguardo, penso.
Sono stanco e ho bisogno di sedermi, nutrirmi con calma e riflettere.
Sono le 7 e molti di voi stanno facendo colazione. Dubito però che
fosse come la mia: pastina in brodo, formaggio, speck e birra e, va
beh, un caffè.
Non sono io, ma rende l'idea. |
Mi risiedo. Correre tutta la notte, superare 3000 m di dislivello
e visitare le gallerie del Pasubio sono state esperienze nuove e fantastiche che
hanno comunque valso il viaggio. Teo, 3 anni fa si era ritirato
proprio qui. L'obiettivo minimo quindi è raggiunto e potrei
ritirarmi con l'anima in pace. Stanco come sono, a pensare di essere
a metà strada mi scoraggerei; meglio non pensarci allora. Faccio un
po' di stretching e riparto verso la prossima birra.
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