lunedì 27 luglio 2015

Roth - outtro


Dopo l'arrivo comincio a tremare. Il lungo sforzo, unito ai problemi digestivi, mi ha lasciato completamente vuoto di energie. Dopo un quarto d'ora, decido di alzarmi dalla panchina per mettermi più comodo e sdraiarmi su un lettino dei massaggi. Sono oltre cento e ne trovo subito uno libero. Il comfort però dura poco e presto mi ritrovo nella più scomoda delle posizioni con robuste mani femminili conficcate nelle mie carni martoriate. La sofferenza è mitigata dalle espressioni compassionevoli e dispiaciute con cui la torturatrice risponde alle mie smorfie di dolore. Mi vede tremare e mi stende addosso un pietoso telo termico. Finito il trattamento, mi alzo a fatica dal lettino; lei mi chiede se voglio tenere il telo. Io rifiuto, ma un minuto dopo torno tremante da lei e me lo faccio dare. Finalmente vedo facce conosciute: Fabio, Davide e Marco tutti contenti di aver finito la gara ma un po' delusi dalla prestazione. Mi indicano Andrea e lo trovo seduto con i piedi in una bacinella. È raggiante, ha chiuso la gara in 10 ore e 34. Anche io, pur non sapendo il tempo finale, sono molto soddisfatto: avendola preparata in un mese non posso che essere contento. Io con il telo sulle spalle e lui con i piedi nella bacinella sembriamo due vecchietti. E forse è così; la grande fatica ci ha portato avanti di 30 anni e ci comportiamo di conseguenza. Prendi il minestrone, mi consiglia, è davvero buono. Ed è vero: fra le tante cose da mangiare, l'unica che riesco ad inghiottire con piacere è un bicchiere di minestrone di verdure caldo. Non avrei mai pensato di finire cosi'.
Prendo la borsa per cambiarmi e mi accorgo che, da un angolo del fondo, trasuda attraverso la tela una sostanza umida e appiccicosa. Immergo la mano attraverso il contenuto variegato della borsa fino a raggiungere il fondo, dove riconosco i resti disintegrati della banana che mi ero portato per colazione. Tiro fuori la buccia praticamente vuota. Tutto il resto è spalmato all'interno. Pezzettini di banana anneriti sono spiaccicati quasi ovunque, compresi i vestiti di ricambio e l'asciugamano. Stacco il grosso ma, sull'asciugamano bianco restano grandi macchie nere. Sembra merda e per farla notare meno, la indosso con nonchalance mentre vado a fare la doccia. Non c'è fila. La doccia è gelida ma la sento benefica per i muscoli e le articolazioni martoriate. Scopro di avere, nella piega del sedere, aghetti di pino e altre varietà di sottobosco, ricordo della sosta nel boschetto. Un'asciugata al profumo di banana, e sono pronto ad infilarmi fra i VIP per assistere allo spettacolo finale. Quasi pronto. È dal mattino, prima della gara, che non faccio una bella pisciata.
Davanti al bagno femminile c'è coda, mentre in quello maschile si entra subito. Appena dentro capisco perché: non ci sono i classici orinatoi individuali. C'è un muro e una fila di uomini, spalla a spalla di fronte ad esso. Mi infilo nello spazio più largo. Prima ancora di iniziare la minzione, comincio a sentire goccioline sui piedi. Sicuramente non è roba mia! Sarà del mio vicino di destra o di quello di sinistra? Probabilmente un misto. Provo ad arretrare ma non serve: è impossibile evitare gli schizzi che rimbalzano dalle piastrelle della parete. Mi guardo intorno. Sono l'unico con i sandali senza calze e finalmente capisco perché i tedeschi maschi indossano sempre i calzini.
Ecco. Ora, ricoperto di gloria, banana e piscio, sono proprio pronto. 

giovedì 23 luglio 2015

Roth - la corsa


Trans 2 – time 4:53, place 1526

Nel naufragio degli ultimi chilometri della frazione di bici, avevo come riferimento un ciclista in maglia gialla; non era Froome, ma l'unico che si lasciasse avvicinare da me. La vista offuscata dalla stanchezza non mi aveva fatto riconoscere l'amico Davide e solo dopo essere sceso di sella a mezzo metro da lui, l'ho riconosciuto. Mi sono stupito di vedermelo accanto; l'ultima volta che eravamo usciti in bici insieme era più in forma di me e anche se era partito 10 minuti dopo, pensavo fosse molto più avanti. Ma questa gara è troppo lunga da prevedere. Zoppicando verso il tendone, scambiamo 2 parole, solo due che siamo entrambi esausti.
La volontaria mi chiede se voglio una spalmata di crema solare. Ecco, sto morendo e mi offre l'estrema unzione … non è ancora giunta la mia ora e la rifiuto. Mi siedo. Ho comprato i lacci elastici per calzare più velocemente le scarpe da corsa, ma le indosso con estrema lentezza. Ho i piedi ancora in fiamme e non ho fretta di alzarmi, anzi! La volontaria mi guarda preoccupata aspettando di raccogliere le mie cose. Mi vede così lento che mi chiede se vada tutto bene. Sono stanco, rispondo. Finalmente mi alzo, le chiedo acqua per sciacquarmi le mani ancora impiastrate di gel e cammino verso l'uscita della zona cambio. Provo due passi di corsa, torno a camminare ma appena uscito dalla zona cambio riprendo a correre.

Run – time 3:35:42, place 218

Foto di Antonella Frau
Mi sono bastati 100 metri per sciogliere i piedi, altri 100 per schiena e cosce ed eccomi rinato. Riesco a spingere bene senza eccessivo sforzo ma … dov'è finita la stanchezza, lo sfinimento, dove sono i dolori insopportabili di poco fa? Sparito tutto. Merito del DNA? Forse. Di sicuro ho un altro passo rispetto a tutti quelli intorno a me che supero con facilità. Raggiungo presto Davide che si era avvantaggiato nel cambio ma neanche lui, che pure è un runner di livello pari al mio, riesce a seguirmi. Non ho strumenti di misura e devo controllare la respirazione per evitare di spingere troppo. Ho paura che vada come la frazione di bici: divertimento fino a metà e poi sofferenza. Intanto però mi diverto. Nonostante il caldo, i chilometri passano veloci. Il numeroso pubblico apprezza il mio passo sciolto e il mio nome straniero e ricevo moltissimi incitamenti; fanno sempre piacere, ancor più ora che li merito e li sento miei personali. Ogni due chilometri circa c'è un ristoro, spugne fresche, bibite varie, frutta e dolci. Rallento, bevo qualcosa e in pochi secondi riparto. Il percorso raggiunge il canale, una stretta pista sterrata da percorrere a “bastone” su cui si incrociano gli atleti che corrono in direzione opposta. Sporadiche nuvole offrono qualche istante di sollievo dal caldo. Sento un dolorino dietro la coscia destra, come una piccola contrattura, ma le gambe continuano a spingere bene; i pochi che mi superano sono tutti staffettisti. Intorno al decimo chilometro, comincia però a farmi male la pancia. Ogni passo fa sobbalzare dolorosamente l'intestino. I professionisti cagano nel body senza fermarsi. I semi-professionisti si fermano sul bordo del percorso di gara e non si puliscono. Io che sono un dilettante ho bisogno di privacy e comfort. Dopo il ristoro del dodicesimo chilometro per fortuna vedo un bagno chimico subito fuori dal percorso di gara. Mi infilo dentro, goffamente sfilo il body facendo cadere le cose che avevo in tasca, le raccolgo con un certo disgusto, mi siedo, produco, faccio un altro tentativo ma mi mancano le parole crociate … mi pulisco, mi rialzo, mi rivesto e dopo oltre due minuti sono fuori. Riparto e, con grande sollievo non sento più dolore: mi sento rinato per la terza volta. Nei paesi, oltre ai ristori ufficiali, ci sono bimbetti che offrono spugne imbevute d'acqua per rinfrescarsi. Raccolgono da terra quelle usate e le ributtano nell'acqua. È comunque un piacere prenderle dalle loro manine guardando le loro espressioni serie serie. Fra le centinaia di “Super Lorenzo”, ne sento qualcuno particolarmente acceso e riconosco, in diversi punti del percorso, i vari componenti della famiglia che ci ha ospitato. Li saluto con gioia. Sono contento che vedano quanto sono bravo. Non dura tantissimo però e intorno al ventiquattresimo mi devo fermare di nuovo. Questa volta non ci sono bagni chimici e devo trovarmi un cantuccio riservato nel boschetto che si arrampica a lato del canale. Non è comodo. La posizione accovacciata sul ripido pendio mi fa venire anche un crampo alla coscia. Inutile dire che le cose che avevo in tasca cadono di nuovo. Esco dal boschetto dopo 3-4 minuti in condizioni migliori ma non perfette: un po' di fastidio è rimasto. La stanchezza comincia a farsi sentire e ai ristori non so bene cosa prendere per non irritare ulteriormente l'intestino. Per provare qualcosa di solido metto in bocca un pezzo di torta di riso. È una specie di gnocco di cemento, immasticabile – altro che ciccioneddas. Forse avrei dovuto sputarlo, invece mi sono impegnato in una faticosissima operazione di masticazione che è durata almeno un chilometro prima del deglutimento. Inghiottito il mostro riprendo a correre ad un buon ritmo. Mancano poco più di dieci km. Comincio a sentire, ad ogni passo, il rumore dell'intestino che rimbalza nella pancia pieno di liquidi ma il malessere è sopportabile e sapere il traguardo sempre più vicino me lo rende più leggero. In leggera discesa, si torna verso Roth, incrociando atleti che hanno iniziato a correre da poco. Finalmente incrocio Andrea. Per un attimo penso che anche lui sia appena partito per la corsa: “che ci fai tu lì?” Gli chiedo. “Come, che ci faccio ...”. Capisco subito che in realtà era davanti a me, lui invece si confonde e dovrà chiedere a due persone per rassicurarsi di non aver sbagliato. Non pensavo di metterlo in crisi. Ultimi tre chilometri. Ormai è fatta. Prima del traguardo però c'è ancora il caratteristico giro della piazza, lungo i tavoloni dove il pubblico beve birra e applaude. Sento addosso tutta la stanchezza e le energie ridotte al lumicino a causa dei problemi digestivi. Ne ho ancora però per allungare il passo e fare un ingresso trionfale nello stadio; il giro di pista è troppo corto o io sono troppo veloce e arrivo al traguardo con la sensazione di non essermelo gustato appieno. Alzo gli occhi al cronometro ma sta scandendo i tempi di altri atleti appena arrivati. Alzo le braccia ma non vedo il fotografo; cerco con gli occhi Andrea, ma si è già spostato. Mi siedo, bevo una birra ma è analcolica, cerco invano di inghiottire il dolcetto offerto all'arrivo e comincio a tremare.

sabato 18 luglio 2015

Roth - la bici

Trans 1 – time 7:23, place 2315

Le transizioni per me sono anche metamorfosi: mi godo il sollievo di aver finito la frazione precedente con un momento di relax nel bozzolo prima di cominciare la successiva. Questa è una delle ragioni per cui, in media, ci metto il doppio degli altri. L'altra ragione è che sono incapace. Questa volta, per esempio, dopo aver sfilato la muta quasi completamente dalla gamba sinistra, mi sono accorto che era bloccata alla caviglia e, solo allora, mi sono ricordato di avere legato la fascia del chip sopra di essa. Ho dovuto allora infilare la mano nel rotolo di neoprene e, alla cieca, cercare lo “strap” della fascia per slacciarla e finalmente ho potuto sfilare la muta. Liberatomi dal bozzolo di neoprene, corricchio verso la mia bici; la riconosco da lontano, troneggiante nel deserto della zona cambio. Con estrema calma indosso casco, guanti, pettorale e scarpe, prendo la bici, accendo il garmin e parto.

Bike – time 5:48:54, place 1153

Pasticcio un po' con i tasti del garmin per leggere l'ora. Sono le 8 e 53. Ora so che fra nuoto e transizione ho impiegato quasi 1h40. È un tempo lunghissimo ma temevo anche peggio. Un grande zero troneggia in mezzo allo schermo: è la frequenza cardiaca. O sono morto oppure ho dimenticato la fascia cardio. Mi tocco il petto e verifico che, per fortuna, è vera la seconda. Il contachilometri è partito: finalmente posso smettere di guardare lo schermo e pedalare davvero. La penosa fatica del nuoto è un ricordo lontano. Valeva la pena soffrire così a lungo nella frazione di nuoto? Sembra di sì: rinascere è bellissimo. Ora le gambe girano bene, facili e avanzo con eleganza e velocità attraverso questo fluido impalpabile. Qualcuno mi supera ma sono più quelli che sorpasso io. Non devo strafare, so di essere poco allenato. La strada è in continuo saliscendi e alcuni di quelli che mi superano in pianura o in discesa approfittando delle super bici da crono, li ripasso io in salita per poi vedergli di nuovo la schiena nel prossimo piattone in una serie di sorpassi-controsorpassi che mi tiene compagnia. Leggo nomi ormai noti sulle schiene e mi fa piacere rivederli anche se non li ho mai visti in faccia. La media è buona, intorno ai 33 km/h e mi sto avvantaggiando sul tempo previsto di 6 ore. Ogni 20 chilometri circa c'è un ristoro. Acqua, banane, gel, sali, barrette … ogni volta prendo qualcosa per reintegrare almeno in parte le energie consumate. L'apertura innovativa dei gel mi sorprende inondandomi i guantini.
Quando si passa dai paesi o sulle salite più ripide il pubblico offre uno spettacolo davvero entusiasmante. Se poi tolgo le mani dal manubrio e mi tiro su per salutare il pubblico con un gesto, le urla raddoppiano con effetto esilarante. Poco oltre il sessantesimo mi supera Andrea, partito 25 minuti dopo di me; non mi vede e tira dritto. Lo chiamo e, senza sforzo eccessivo, con un breve allungo mi affianco a lui per scambiare due parole. Mi guardo indietro per assicurarmi che non stiano arrivando giudici proprio in quei 10 secondi. Mi dice che ha paura di stare andando troppo veloce. Sta facendo una super gara e lo incito a proseguire. Avrei un buon margine ma preferisco non seguirlo.
Sulla salita del “solar hill” si raccoglie il massimo della folla. Non si vede l'asfalto: la gente copre tutta la strada e si apre solo al passaggio dei ciclisti! Sarebbe entusiasmante se si potesse pedalare a tutta, invece si procede in lenta fila indiana e la carica di adrenalina che mi da il pubblico invece di scaricarla sui pedali la devo inghiottire restando in fila come alle poste.

Comincio a sentire un po' di stanchezza. Mancano ancora cento km e ho già perso tutta la freschezza. Poco prima del novantesimo inizia il secondo giro. I chilometri ora girano molto più lentamente e mi sento a disagio sulla bici. Dolorini alla schiena, al collo e alle braccia mi obbligano spesso a cambiare posizione. Con le mani appiccicose di gel prendere cose dalle taschine strette del body è molto difficile. Vado comunque ancora veloce, il vento spinge alle spalle ma non supero quasi più nessuno e, fra quei pochi, quasi solo donne. Provo a rispondere alle incitazioni del pubblico ma mi esce solo un sorriso storto; invece di alzarmi a salutare il pubblico come durante il primo giro, ora riesco solo ad alzare i pollici. La stanchezza aumenta progressivamente e i dolori anche. Si fanno sentire anche i residui della gastroenterite che, risvegliata probabilmente da dosi eccessive di gel o sali, mi obbliga ogni tanto ad alzare il sedere di sella per sfiatare. Il percorso gira e il vento diventa contrario. Intorno al km 120 cominciano a bruciarmi i piedi e faranno sempre più male. Intorno al 150 mi iniziano a venire piccoli crampi alle cosce e sono costretto a rallentare ulteriormente. Il divertimento è finito da un pezzo. La mancanza di allenamento si paga così, con la sofferenza: hai fatto la bella vita? Ora soffri. Devo solo resistere. Sono quasi sicuro che ce la farò a finire, probabilmente entro le 6 ore, ma spero poi di riuscire a rialzarmi e a correre; non ne sono sicuro con i piedi che fanno davvero male, i crampi alle cosce e i dolori alla schiena. Vedremo. Per fortuna il traguardo anticipa di oltre un chilometro i 180 previsti – un ritardo non l'avrei sopportato. Ho la lucidità di sfilare le scarpe negli ultimi metri lasciandole attaccate alla bici, poi scendo, lascio la bici ad un volontario e mi avvio camminando zoppicante per il mal di piedi verso la tenda del cambio. Riuscirò a rinascere ancora?

venerdì 17 luglio 2015

Roth - il nuoto

Swim – time 1:29:15, place 2399

La partenza è meno emozionante che a Klagenfurt. Si parte a gruppi (waves) di circa 200 atleti ogni 5 minuti. Scendo in acqua lungo la scaletta, indugio un po' con i piedi sul solido dell'ultimo gradino, poi lo lascio con riluttanza, mi immergo nel liquido e nuoto lentamente fino al nastro di partenza. L'acqua è fresca ma non fredda e con la muta si sta bene. “Ten … nine” comincia il conto alla rovescia, “two … one” uno sparo e si parte. Non c'è la solita bolgia. Parto dietro al mio gruppetto e presto lo vedo che si allontana avanti a me e mi trovo a nuotare quasi solo. Sono 2 anni che non nuoto in acque dolci e senza sale la gamba scende; capisco subito che sarà dura. Il percorso segue il canale: una serie di boe, tutte uguali, si sussegue e ogni volta spero invano che la prossima sia quella del “giro di boa” ma per un tempo interminabile si continua nella stessa direzione. Come ho già scritto, ogni 5 minuti parte una “wave” e ogni 15 minuti circa, mi raggiunge da dietro travolgendomi. Sento qualcuno che mi tocca i piedi, poi lo vedo che mi passa accanto. Ogni volta, provo a prendere la scia e a cavalcare le waves come un surfista, ma non sono mai riuscito a prendere l'onda. Quando ormai avevo perso ogni speranza e mi ero rassegnato a nuotare per l'eternità, è arrivato il giro di boa. Dopo aver percorso il canale per 1.4 km, ora si torna indietro per 2 per poi risalire per gli ultimi 400 metri: so che mi aspetta un'altra eternità e mezza, smetto di pensare e rallento ulteriormente la nuotata.
Io che sono un buongustaio, giudico il nuoto anche dalle qualità organolettiche dell'acqua. Poco salata, invero, una rarità per noi pesci di mare ma rovinata da un retrogusto di fanghiglia. Alla vista poi si presenta completamente opaca, non offre riferimenti visivi e quando alzo lo sguardo oltre il pelo spesso mi trovo disorientato e mi sembra di andare verso la sponda. Perdo definitivamente la nozione del tempo.

Sento arrivare un crampetto al polpaccio. Rallento ulteriormente e penso al giorno prima, quando, nel calore del pomeriggio, avevo visto molti atleti con in mano bevande isotoniche. Avrei dovuto berle anche io. Sono già disidratato, penso, e con la maratona che mi aspetta nel caldo pomeriggio, sarà durissima arrivare. Vedo il ponte che lentamente si avvicina. So che da lì mancheranno gli ultimi 800 metri. Poi, al secondo giro di boa, solo 400. Cerco di capire dove sia l'uscita dall'acqua, vorrei tanto avere un riferimento, la sicurezza che prima o poi questa fatica immane finirà, ma non vedo, non capisco. Punto ad un arco, e, solo all'ultimo mi rendo conto che l'uscita era accanto a me e la stavo superando. Finalmente poggio un piede al suolo e, con enorme sollievo, mi lascio tirare su dai volontari. Con i piedi sulla solida terra, mi sento rinascere.

mercoledì 15 luglio 2015

Roth - Intro

11 ore e 2 cagate. Ecco il tempo ufficiale della mia gara di Roth.

time total (brutto)? Sarà bello il tuo!
Il 19 giugno, quando ero ancora in alto mare con gli allenamenti in bici e a terra con quelli di nuoto, scrivevo: “La tattica di gara è bell'e fatta. Nuoto tranquillo cercando di non stancarmi, bici tranquilla cercando di arrivare vivo e corsa con quello che resta, ovvero tutta di DNA. Se tutto va bene 1h30+6h00+3h30 fanno 11h00 di puro divertimento.”
I risultati si sono avvicinati molto alla mia previsione velleitaria. Non avevo previsto solo le due cagate. Togliendo al tempo della corsa i 6 minuti di stop fisiologico, la coincidenza sarebbe stata ancora più sorprendente ma non si possono togliere i 2 “shit stop”: fanno parte della tattica di gara.

Del resto il tempo non era importante, non ero lì per quello; a causa della mia preparazione precaria, ero ben cosciente di non potermi avvicinare alle 10h12 di due anni fa e ho corso e cagato senza fretta. Ero a Roth per vivere l'evento.
Mi sono infiltrato in una famiglia di tedeschi del posto e mi hanno fatto sentire uno di loro, di quelli che parlano con gli occhi prima di aprire la bocca, che anche le donne celebrano messa, che col senso civico fanno miracoli. Con una targhetta al collo con su scritto VIP, mi sono introdotto anche fra gli organizzatori, quelli veri con 2000 atleti e nessuno che si perde. A fine gara poi sono diventato spettatore; ho applaudito gli ultimi (la ola no, non ce l'ho fatta) e goduto della magnificenza dell'organizzazione.
E infine, mi sono infiltrato fra gli atleti. Mi sono fatto servire, aiutare, massaggiare, dai bravissimi volontari tutti disponibili e sorridenti; ho preso le spugne dalle mani dei bambini; ho sentito il mio nome urlato con entusiasmo da centinaia di persone; sono morto e rinato 3 volte.


Tutto ciò con e grazie ad Andrea perfetto compagno di viaggio. Lui parla, io ascolto. Arriviamo entrambi sempre tranquillamente all'ultimo secondo, entrambi sbagliamo strada, beviamo birra prima della gara e ci alleniamo in modo dilettantesco. Il suo unico difetto è essere arrivato prima di me. Pazienza.

giovedì 9 luglio 2015

Forse è la terra che è ingrassata

Dopo oltre 6 mesi, oggi ho ricomprato la batteria della bilancia pesapersone. Non certo per pesarmi, per carità, ma solo per pesare il bagaglio: fino a 23 kg è gratis, oltre i 23 devo pagare 80 euro.
Dopo oltre 6 mesi, oggi mi sono pesato. Non certo per sapere il mio peso, per carità, ma per sapere quanto pesa l'uomo senza bagaglio per fare l'operazione: peso di bagaglio uguale peso di uomo con bagaglio meno peso di uomo senza bagaglio. Comunque quest'uomo senza bagaglio pesa 68 kg contro i 65 dell'anno scorso. Non traiamo conclusioni affrettate. Il peso è la misura della forza di attrazione fra due corpi. Forse è la terra che è ingrassata.

martedì 7 luglio 2015

5 giorni a Roth.

5 giorni a Roth. Fra 2 si parte. Gli allenamenti sono finiti, quel che è fatto è fatto. I 29 di corsa di sabato sono stati lenti e faticosi, i 90 di bici di domenica sono diventati 76 e dopo i 4 di nuoto di oggi mi sono spiaggiato esausto come una balena. “Ma siamo sicuri che oggi ne dovevo fare 4?” “Sì, guarda, è scritto qui sulla tabella.” “Ma chi ha scritto quella tabella?” “Uno tosto, il velleitario.” “C'è da fidarsi?” “Che ne so … millanta risultati miracolosi ma secondo me è un dilettante … comunque non c'è alternativa: è stato l'unico disposto a fare una tabella per preparare un ironman in 4 settimane; gli altri si sono rifiutati, lui invece sembrava felice ...” Secondo il programma, domenica dovrei sprizzare energie. È quello che voglio e mi fido.
Ora cominciano gli incubi organizzativi. Mi faranno portare la bici in aereo? Meridiana e Air-berlin giocano a palla: “bisogna prenotare il trasporto” “me lo prenoti allora” (mi avvicino, ho quasi acchiappato la palla) “non posso accedere alla prenotazione, si rivolga a …” (passa la palla all'altra compagnia e mi ritrovo con le mani aperte in aria e lo sguardo ebete verso l'alto). Ma io gliela buco quella palla e provo a spedirla con DHL. “Per 800 euro, se ce la porta in magazzino, gliela facciamo arrivare entro venerdì” “800??” “se riesce a farla piccola piccola, solo 400 euro” (solo andata, ovviamente). Forse se corressi con una graziella risparmierei ancora … Ritorno con le coda fra le gambe a Meridiana. Fra le mille versioni ufficiali, finalmente una gentile signora mi dice che non serve prenotazione, basta portarla in aeroporto e te la caricano, gratis se non eccede il peso o pagando 80 euro se lo supera. Finalmente! Era quello che volevo sentire e mi fido.

L'importante è trovare qualcuno che ti dica quello che vuoi sentire.

mercoledì 1 luglio 2015

La mia tabella per Roth


Un mese. Dopo il passatore e le 2 seguenti settimane di recupero quasi totale, ecco il tempo che mi è rimasto per preparare la gara di Roth: un mese o, più precisamente, 4 settimane per passare da 80 km a 180 in bici, da 2 a 4 di nuoto e da due settimane di stop totale a una maratona di corsa.
Sembrerebbe quasi impossibile ma dopo l'esperienza di due anni fa, quando dopo un lungo stop, avevo preparato in un mese un'ultramaratona a tappe (20 km+60 km) arrivando quinto assoluto, mi sono convinto che nulla mi è impossibile.
Come in quell'occasione e contrariamente al mio solito stile, mi sono impegnato, seriamente, per cercare di onorare questa gara cercando di sfruttare al meglio il poco tempo a disposizione. Per una volta ho fatto “sacrifici”. Ho rinunciato alle gare domenicali e ai relativi premi e gloria. Ho tenuto un dito fisso sul collo per monitorare la frequenza cardiaca e controllare il recupero. Ho cercato di mangiare decentemente facendo attenzione a non trascurare proteine (cinghialetto), sali e carboidrati (birra) e a non eccedere negli alcolici (sigh!). Mi sono alzato diverse volte alle 6 per allenarmi evitando le ore più calde. Non ho risposto sempre alle accelerazioni dei miei compagni di pedalate per evitare di stancarmi troppo (karma). Non potrei fare questo tipo di vita molto più a lungo: mi pesa troppo. Un mese è il tempo giusto.
Col passare dei giorni, ha preso forma un programmino per avvicinarmi progressivamente alla distanza di gara. Ecco in sintesi la mia tabella con gli allenamenti principali.

Ironman in un mese

Settimana 1
Martedì: bici 107 km
Domenica: Combinato bici 120 km – corsa 25 km
Altri allenamenti: 3 uscite di corsa lenta per passare progressivamente da 0 a 25 km.

Settimana 2
Mercoledì: bici 128 km
Sabato: corsa 34 km
Domenica: bici 140 km
Altri allenamenti: 2 uscite di corsa brevi ma con leggere variazioni di ritmo e di pendenza per svegliare le gambe e 2 nuotatine perché dovevo pur farle ...

Settimana 3
Lunedì: nuoto 4 km
Mercoledì: bici 154 km
Sabato: corsa 30 km
Domenica: bici 90 km
Altri allenamenti: corsa su sentiero (senza troppo dislivello) per scaricare gambe e testa

Settimana 4
Lunedì: nuoto 4 km
Domenica: gara Roth

Esercizio di equilibrio sul filo fra il troppo e il troppo poco. Bisogna allenare il culo a stare più di 5 ore su un sellino evitando che si infiammi il “soprassella”. Faticare senza sfinirsi, stancarsi evitando che la stanchezza si accumuli. Oggi è il mercoledì della terza settimana. Il più è fatto e finora è andato tutto bene: mi sento stanco, assonnato e un po' indolenzito ma molto più forte di 15 giorni fa.
Sicuramente in gara non saro' veloce, ho fatto solo allenamenti lenti per resistere fino all'arrivo, ma spero comunque di fare una gara dignitosa e soprattutto di divertirmi. Se tutto andrà bene, quella qui sopra sarà la prima tabella “ironman in un mese” disponibile in rete.